L'incubazione italiana di Macron e Trump
Condizioni diverse ed esiti diversi, certo. Ma il prossimo probabile presidente francese e il presidente americano sono incarnazioni di Berlusconi e Renzi. E per non riconoscerlo ci vuole molto provincialismo e una gran faccia di tolla
Che gli italiani siano svelti e sperimentatori non lo si può negare. Che in politica siano benedetti o maledetti per inventiva, naturalmente sulla loro scala di paese in cui l’ultimo stato prima di quello sabaudo malfermo fu l’impero romano fatale, è noto. Mussolini e il fascismo sono arrivati dieci anni prima di Hitler e del III Reich. Le pulsioni nazionaliste, la ribellione delle masse e il totalitarismo, dunque il versante di destra della crisi della democrazia novecentesca, nascono e cominciano a definirsi con la marcia su Roma e il fascismo. L’Italia fu sempre un formidabile laboratorio politico. Berlusconi e Renzi vengono prima di Trump e Macron.
Ci vuole tutto il provincialismo di certi commenti per dire e ridire a casaccio che Macron può fare da professore a Renzi, il quale prima di lui ha recitato il ruolo dell’europeista intraprendente e costruttivo, del capo e ideologo liberale e sociale di una sinistra di governo e riformista che si vuole partito della nazione oltre i confini stretti delle vecchie appartenenze, del boy scout ottimista e volontarista che fa piazza pulita delle vecchie catene corporative nel mercato del lavoro, piazzandosi esattamente a mezza strada tra la figura storica di un Tony Blair e quella emergente del candidato all’Eliseo, in più con il bagaglio e l’aspettativa di una svolta generazionale. E ci vuole una gran faccia di tolla per negare l’incubazione berlusconiana della strepitosa cavalcata dell’outsider, e i soldi, e la tv, e lo spiazzamento dell’intero sistema politico, e la campagna blitz in nome dei dimenticati dell’establishment, e il voto di Mirafiori-Michigan nel 1994, e un certo spirito mattocchio di rottura delle convenzioni istituzionali nel linguaggio e nel comportamento, gaffe comprese, incubazione o anticipazione di un fenomeno che avrà in Trump vent’anni dopo la peculiare e americana seconda incarnazione.
La differenza tra Trump e il Cav. per ora è tutta a favore del Cav., che ha percorso con bonomia, senza rischi, una parabola di vent’anni spazzando via molto vecchiume, ha modificato il sistema portandolo all’alternanza politica per la prima volta nella storia unitaria, ha eliminato tutti gli avversari di establishment e depositato una paradossale eredità all’inverso nel giovane boy scout di sinistra con cui si alleò e il cui governo rese possibile con il Nazareno.
Con tutto il suo glamour cialtrone, Trump è un tirocinante che non promette gran che bene. Quanto a Macron, è diverso da Renzi per formazione personale, e perché le circostanze lo hanno portato a fuggire il Partito socialista morente e l’entourage hollandista che lo aveva cullato da consigliere, Grand Commis e ministro “tecnico”, mettendo in piedi il partito di Macron e rendendo esplicito il nucleo del rinnovamento al di là del vecchio discrimine gaullista-socialista, il suo “partito della nazione” trasversale.
Renzi era un politico puro del Partito democratico postcomunista e postdemocristiano, le circostanze lo hanno obbligato al passaggio nel partito per la conquista della leadership, visto che il Pd era la sua casa e una forza di governo dopo le elezioni del febbraio 2013, ma il programma, le cose fatte, i conflitti affrontati con disinvoltura, lo schema generale d’azione, l’ottimismo in nome del quale ha dato battaglia, l’energia movimentista e perfino certi aspetti della mimica e dell’immagine fanno di lui con ogni evidenza un precursore del fenomeno Macron. Dopo tre anni di governo e la sconfitta nel referendum, ora Renzi è al tentativo di un nuovo inizio. Macron è appena sulla soglia del suo, di inizio, e vedremo come va.
Le personalità politiche riflettono con il loro carattere, l’opportunismo e l’intelligenza delle cose, un sostrato di fatti, di processi politici e sociali e di idee che appartengono alle diverse storie nazionali e ai diversi sistemi istituzionali. Capita che a un paese come il nostro sia dato di sperimentare in anticipo formule e trame di gioco che poi fanno fortuna altrove, in condizioni diverse e con esiti diversi. Pretendersi sempre scolaretti imbarazzati alla scuola dell’Europa e del mondo è un tipico tic del complesso di inferiorità, che spesso è coccolato da quelli che sono realmente inferiori.