Il colpevole silenzio della sinistra di fronte alla catastrofe in Venezuela
Miseria e repressione, nessuna parola dai fan di Chavez. Eppure il risultato è sotto gli occhi di tutti: una catastrofe senza precedenti nella storia recente
Roma. Il Venezuela dovrebbe essere il paradiso in terra, ricchissimo di bellezze e risorse naturali, il mar dei Caraibi e le maggiori riserve petrolifere del mondo. In aggiunta gli ingredienti della ricetta economica del momento: redistribuzione della ricchezza, salario garantito e sovranità monetaria. Il punto di unione tra la sinistra radicale e il Movimento 5 stelle. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: una catastrofe senza precedenti nella storia recente.
Sono salite a 26 le vittime delle proteste di questi giorni contro l’autocrate Nicolás Maduro, una rivolta che ha trovato un simbolo nell’immagine di una donna avvolta nella bandiera venezuelana che ferma un blindato della Guardia nazionale, come l’omino davanti ai carri armati in piazza Tienanmen a Pechino. Ma la situazione a Caracas è più grave rispetto alla Cina del 1989. Il Venezuela non è un paese in crisi economica o politica, è un paese in emergenza umanitaria, uno stato fallito. Come la Somalia, Haiti, il Sud Sudan e la Siria. Ma il Venezuela è un caso speciale: è il primo grande paese sviluppato fallito, l’unico con 30 milioni di abitanti e di media ricchezza. E non a causa di un’invasione straniera, di una guerra civile, di un’epidemia o di uno tsunami, ma per la gestione economica di Hugo Chávez e del suo successore.
L’unica promessa che il “Socialismo del XXI secolo” ha mantenuto è l’egualitarismo: non c’è niente per nessuno. Non c’è latte per i bambini né medicine per gli anziani, mancano carta igienica, pannolini, bare, preservativi, telefonini, pezzi di ricambio per auto, farina, caffè, riso pollo e persino la benzina, nel paese con più riserve petrolifere dell’Arabia Saudita. La gente passa ore in coda ai supermercati, nell’ultimo anno tre quarti della popolazione ha perso circa 9 chilogrammi di peso, il pil è crollato più del 10 per cento, il reddito pro capite è inferiore a quello del 1964, l’inflazione è oltre il mille per cento (miracolo della “sovranità monetaria”), il tasso di omicidi è tra i più alti al mondo, (22 mila l’anno, una persona uccisa ogni 20 minuti). Anche la democrazia è morta. Il Parlamento – per i due terzi in mano alle opposizioni che hanno vinto le elezioni – è stato esautorato, i leader dell’opposizione sono stati eliminati: Leopoldo López è da tre anni in un carcere militare, il sindaco di Caracas Antonio Ledezma è stato arrestato, l’ex candidato alle presidenziali Henrique Capriles è stato bandito dalle elezioni per i prossimi 15 anni. Il regime ha impedito un referendum contro Maduro, che governa per decreto, controlla l’esercito e la Corte suprema. La Rivoluzione bolivariana è il più grande esperimento storico di distruzione delle istituzioni democratiche e di impoverimento di massa in un paese semi sviluppato.
Eppure il socialismo venezuelano è un modello per la sinistra europea di Corbyn in Inghilterra, Mélenchon in Francia, Podemos in Spagna e Tsipras in Grecia. In Italia è il riferimento politico ed economico del Movimento 5 stelle, che con Di Battista propone come alternativa al “nazismo” dell’euro e dell’Unione Europea il modello Alba, l’alleanza bolivariana di Chávez in America latina.
Ma visto che i 5 stelle riciclano idee di seconda mano, una riflessione sulla catastrofe venezuelana dovrebbe farla la sinistra italiana, che per anni ha sventolato la bandiera del chavismo. Dario Fo e Franca Rame agitavano il pugno chiuso sulla balconata della Camera del lavoro di Milano quando Chávez fu invitato dalla Cgil a indicarci la via del socialismo, Fausto Bertinotti lodava il lavoro del governo per “vincere le disuguaglianze sociali”, Nichi Vendola dichiarava “profonda simpatia per un’esperienza che ha fatto invecchiare la stella di Cuba”, Gennaro Migliore – all’epoca comunista di ferro e adesso democratico renziano – elogiava la “straordinaria rivoluzione democratica” del caudillo. E poi tutta la sinistra altermondialista e movimentista, con i relativi no global da piazza e intellettuali da salotto. Ora sono tutti zitti, quelli più in vista evitano di parlarne: “Non sto seguendo più le vicende venezuelane”. Della Rivoluzione bolivariana in Venezuela restano miseria e violenza, nella sinistra italiana solo silenzio.