L'energia del momento populista
I discorsi di Marine Le Pen sono letteralmente mozzafiato. Non è tenera, ma carnale. Ha il fuoco nella pancia. Tutt’altra cosa rispetto al tenero elitismo incarnato da Macron. E per questo è ancora molto competitiva
I sondaggi, e qui al primo turno sono stati impeccabili, danno Macron al 60,5 per cento il 7 maggio (ovviamente meno dell’80 e passa per cento di Chirac contro Le Pen padre nel 2002, ma si capisce). Marine Le Pen dunque dovrebbe perdere con onore. In un quadro nuovo (promettente) in cui i partiti tradizionali sono scossi e divisi (socialisti e gaullisti) eppure allarmante (il Front national sarebbe consacrato come un partito stabile dell’alternanza, il principale, seppure le legislative possano cambiare poi il quadro a giugno, almeno parzialmente, con la scelta degli eletti all’Assemblea nazionale). Ma c’è un particolare che fa diffidare: i discorsi della Marescialla sono letteralmente mozzafiato, trasmettono argomenti forti, una potente energia politica che è viscerale ma non è solo visceralità, l’energia del “momento populista”, per dirla con il filosofo della destra intelligente Alain de Benoist, combinata con una notevole sapienza nella penetrazione anche trasversale del corpo elettorale.
Nizza è città in cui il Front ha avuto un’affermazione urbana decisiva in una demografia elettorale in cui le città sono in larga prevalenza contro il lepenismo. E’ una città martire del terrorismo. E giovedì sera Madame Le Pen si è scatenata. Ha attaccato Macron senza pietà, lo ha ciblé, lo ha messo nel mirino con puntigliosa cattiveria e mordace raffigurazione. Il mondo del banchiere è il mercato, niente è gratuito, far soldi significa disinteressarsi delle conseguenze sociali. Per lui non c’è popolo ma “popolazione”. Non c’è cultura francese ma “culture in Francia”. E’ un figlio delle oligarchie nel segno della continuità, quelle oligarchie o élite che sono percepite come una vecchia scuola di stato che ebbe tempi gloriosi ma ora è privatizzata, si fa gli affari suoi sotto l’usbergo dell’Europa di Bruxelles, celebra immigrazione e mondializzazione, e il popolo soffre e paga il conto. Sul lavoro ha citato una frase dell’idolo della gauche Jean Jaurès in cui è detto che la sinistra non deve consentire la raccolta di manodopera a basso prezzo e il suo riciclaggio nel mercato del lavoro francese, ha martellato contro le delocalizzazioni, annunciato misure trumpiste o ex trumpiste di guerra commerciale alla concorrenza sleale, ha elencato tutte le chiusure perseguite nel suo programma con disinvolta concentrazione e forza evocativa. La sua parola d’ordine è all’altezza di Make America Great Again: choisir la France, scegliere la Francia. Le frontiere devono essere ripristinate non per cattiveria ma per realismo. La Costituzione va cambiata via referendum, con la proporzionale in quanto conseguenza e pegno della democrazia diretta, della rappresentatività popolare effettiva delle istituzioni.
La Le Pen è dura e concreta sul terrorismo islamista, proprio così, non il rifiuto pudico di menzionare l’islam dopo gli attentati e nemmeno il radical islam di Trump: terrorismo islamista. La radice del male, della morte dei francesi, è nei francesi di nazionalità, ma di origine islamica, che lavorano da collaborazionisti e devono essere espulsi, cancellati dalla nazionalità francese, le loro moschee radicalizzate devono essere chiuse, la loro ideologia totalitaria estirpata. Non esistono comunità in Francia, il multiculturalismo è l’ultimo rifugio delle canaglie, esiste solo la comunità nazionale francese. E poi, come un torrente in piena, lei sarà la presidente che protegge protegge protegge, dalla sanità alle tasse al lavoro. Non nega la mondializzazione ma vuole domarla, dice. Non vuole uscire dall’Europa ma negoziarne i termini a brutto muso e tenersi la carta di riserva di un referendum in cui ai francesi è delegata la scelta finale sull’Unione e la moneta.
Marine non è tenera, il suo sorriso è spesso forzato, ma è carnale, protettiva appunto come una madre autoritaria ma buona, il suo caschetto biondo è abbastanza sciatto, poco coiffé, per dare l’idea non di una facho-bobo, come da carta d’identità della dinastia Le Pen, ma di una gagliarda figura femminile virilizzata dal destino politico e dalla vocazione tutelare. Lo stesso vale per gli abiti, da battaglia, per l’incarnato affaticato del viso, che rivela un’età a suo modo giusta, per gli occhi fiammeggianti e il tono di voce molto umano, stanco ma ardente e profondo. Ha the fire in the belly, ha il fuoco nella pancia. Nella logica del duello a due, che è un’altra storia rispetto al gentile confronto a cinque, in quel 40 per cento che ha votato un destro floscio come Fillon, uscendone delusa e arrabbiata, e un tribuno che rifiuta la regola antilepenista del fronte repubblicano come il populista di sinistra estrema Mélenchon, che non dà indicazioni di voto e favorisce l’astensione, le sue parole, il suo discorso, possono penetrare come il coltello nel burro.
Macron ha uno slogan finale hillarizzato, un banale Ensemble alla Stronger Togheter. E’ tutto quello che Marine non è, una perfetta antitesi. E’ bravo, intelligente, competente, presidenziabile dopo la rivoluzione En Marche! del primo turno malgrado l’età e il curriculum eccezionalmente difforme dagli standard francesi, malgrado un elitismo piuttosto disincarnato e tenero, avvolgente ma che non perfora con argomenti chiari e radicali se non l’ottimismo e il patriottismo europeo, l’idea che la Francia chiusa è una Francia piccola e meschina. L’uomo sa anche districarsi negli agguati, come alla fabbrica Whirlpool di Amiens, e alla fine forse tirerà fuori gli artigli, bisogna davvero stare a vedere con occhi aperti e mente lucida il dibattito televisivo del 3 maggio. Ma il discorso che passa più facilmente in questo momento è quello di Marine, che può risalire non si sa fino a dove l’evidente svantaggio dovuto alla tradizione repubblicana, ancora presente sebbene offuscata dal crollo dei partiti classici della V Repubblica. Tra le consegne di voto (sistema politico) e i sondaggi (comunicazione e sociologia dell’elettorato) c’è la carnalità dello scontro di personalità e di toni profondi: lì la Le Pen ha molte carte da giocare, e conosce le regole. Come per Trump, la sua soggettività è minoritaria, i Le Pen stanno sulle scatole a una maggioranza di elettori francesi. Come per Trump, il suo muro col Messico, il suo programma estremista, è minoritario. Ma nel discorso pubblico, nella rappresentatività del disagio strano quanto evidente dei francesi, in questo momento è fortemente competitiva, se non un passo avanti l’antagonista.