La minoranza che conta
Corsa al voto cattolico per la conquista dell’Eliseo. Dopo decenni di irrilevanza, qualcosa si muove nella laica Francia. E’ la fine del “cattolicesimo da café”
“Mon Dieu, la Francia è tornata”, scriveva lo scorso gennaio il giornalista americano Rod Dreher scrutando il risveglio dei cattolici in quella che un tempo (ben addietro nella storia) era la “figlia prediletta” della chiesa e che oggi prova imbarazzo se sul gonfalone dell’antica città di Tolosa figura una croce. Libération non era stata da meno, titolando “Aiuto, Gesù sta tornando!” all’indomani delle primarie della destra gollista. Per la prima volta, infatti, c’era un candidato (François Fillon) che si definiva cattolico, che sosteneva l’attivismo della Manif pour tous, non temeva di confessare il suo essere cattolico praticante e di avversare le svolte radicali e negoziabilissime divenute legge nello sfortunato quinquennio di François Hollande. Fillon il gollista che prendeva le distanze dal generale De Gaulle, cattolico che però rifiutava di comunicarsi se in quel momento rappresentava lo stato, laico e repubblicano. Certo, “questo entusiasmo ha meno che fare con Dio che con questioni di cultura e identità”, notava Dreher. Dopotutto, le rilevazioni sociologiche mostrano che benché il 55 per cento dei francesi si definisca “cattolico”, solo il 5-8 per cento frequenta “regolarmente” le chiese. Dove per “regolarmente” si intende la gente che mette piede nell’edificio di culto per battesimi, matrimoni, funerali e per le principali festività. Yann du Cleuziou, sociologo, non ha infatti troppa difficoltà a dire che “il cattolicesimo francese è diventato una realtà per le feste”. A messa ogni domenica, invece, ci andrebbe solo l’1,8 per cento, stando a sondaggi più o meno attendibili. Di recente, poi, uno studio commissionato dal gruppo editoriale Bayard – che edita il periodico La Croix – ha stimato l’esistenza di una nuova categoria di credenti, i cattolici che non necessariamente vanno a messa ma i cui legami con la chiesa cattolica avvengono attraverso la filantropia, la vita famigliare, l’impegno sociale. E sono parecchi, in Francia: almeno il 23 per cento.
“Aiuto, Gesù
sta tornando!”,
titolava allarmata Libération all'indomani
della vittoria di Fillon alle primarie
dei conservatori
Al primo turno delle presidenziali di dieci giorni fa, il 44 per cento dei cattolici praticanti ha scelto come da programma Fillon, mentre Le Pen e Macron hanno preso ciascuno il 16 per cento. Per mesi s’era parlato di una penetrazione del Front national tra i cattolici praticanti, che nelle urne però si è rivelata assai debole. A ogni modo, “il voto cattolico non è così monolitico come si è soliti sostenere”, dice al Foglio Guillaume Gourbet, direttore della Croix: certo, “è più conservatore rispetto alla media, ma ci sono anche molti centristi sedotti da Macron, una minoranza di sinistra attratta da Mélenchon, oltre a una Francia maurrassiana che vota Front national”. E ora? Chi si aggiudicherà questo granaio di consenso? “Ci sarà probabilmente un’affluenza piuttosto bassa tra i cattolici a causa delle posizioni liberali di Macron in materia di costumi – ma scommetto che la maggioranza dei cattolici voterà per Macron”, aggiunge Gourbet. “Non con uno spirito da ‘Fronte repubblicano’, ma a causa delle posizioni contrarie al Vangelo del Front national”. E pazienza se Marion Maréchal-Le Pen, leader della ridotta cattolica del Front, già annuncia che si occuperà in prima persona di seguire l’iter per la cancellazione della legge Taubira sui matrimoni tra persone dello stesso sesso. Non basta per portare a sé il voto catho.
La domanda, allora, è se questo “ritorno” della Francia cattolica sia stato un ballon d’essai, una sovrastima delle piazze piene che contestavano il matrimonio omosessuale voluto dal governo socialista. “No”, dice sicuro Gourbet. “I cattolici sono diventati una minoranza e hanno pochi problemi a esserlo. Tuttavia, questa è una minoranza molto attiva e piuttosto creativa. Una minoranza che è in grado di forti mobilitazioni (si veda, appunto, la Manif pour tous) ma che è anche molto impegnata nel tessuto sociale attraverso associazioni di beneficenza”. Insomma, chiarisce il direttore della Croix, “la Francia non è ancora tagliata fuori dalle sue radici cristiane, che si sono avvertite in modo forte dopo l’assassinio di padre Jacques Hamel”. E poi, il peso del voto cattolico “è stato reale nelle primarie che hanno designato Fillon. E’ un voto che con ogni probabilità ha fatto la differenza rispetto a Nicolas Sarkozy e al catholique agnostique Alain Juppé. Gli ultimi cattolici praticanti della domenica erano propensi a votare per Fillon (circa il 45 per cento). Poi però ‘gli affari’ – dice Gourbet – che lo hanno riguardato gli sono costati un sacco di punti nel mondo cattolico: la mancanza di distacco dal denaro e la promessa non mantenuta sulla messa in stato d’accusa”. La sera stessa del primo turno, con i risultati da poco diffusi, la Conferenza episcopale del paese è scesa in campo, in modo del tutto inusuale, con una nota scritta per offrire “elementi di riflessione e discernimento”. Detto che “la nostra democrazia non si trasformi in una società violenta”, è fondamentale ricordare che “la dignità della nostra società si riconosce dal rispetto dei più deboli dei suoi membri, dall’inizio della loro vita sino alla fine naturale”.
Sono tante le cause
del “deserto spirituale”: dalle prese di distanza del cattolico De Gaulle
al lungo dominio del “cattolicesimo da café”
Quindi, il tema che più dirime, quello dei migranti: “L’aumento del fenomeno migratorio, dovuto a molti fattori, è un dato di fatto, non una controversia. Dinanzi a paesi che accolgono milioni di rifugiati, come può il nostro paese tirarsi indietro di fronte alla prospettiva di accogliere e integrare decine di migliaia di queste vittime?”. Sull’Europa, altra questione che ha dominato la campagna presidenziale, la chiesa non ha dubbi: “Occorre favorire una vera adesione dei popoli europei al progetto europeo”. Ecco, “non vedo come si possa votare Le Pen dopo una lettura attenta di questo testo”, osserva il direttore della Croix. E’ vero, “i vescovi per ora non si appellano esplicitamente per un voto in favore di Macron, perché non vogliono fomentare le divisione tra i fedeli. Personalmente, sono dispiaciuto da questa precauzione. Il nostro giornale sarà esplicitamente a favore di Emmanuel Macron”, aggiunge Gourbet, ricordando l’endorsement che ieri La Croix ha dato al leader di En Marche!. Il Papa, intanto, s’è tenuto bene alla larga dal concedere l’appoggio a uno dei due candidati rimasti in lizza. A domanda d’un giornalista a bordo dell’aereo che lo riportava a Roma dopo la due giorni in terra d’Egitto, ha detto di non conoscere bene la politica francese, evitando di entrare nel dibattito interno transalpino.
Ma qual è l’elemento che ha favorito il risveglio cristiano della Francia, che se non è prettamente religioso, è almeno culturale? Pierre Manent, già nel 2015, scriveva in Situation de la France che anche molti non credenti hanno capito che la Francia non può essere compresa senza il cattolicesimo e che l’eredità dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese non ha fornito molti strumenti per fermare l’islamizzazione strisciante. In realtà, i semi del risveglio sono stati piantati un trentennio fa, quando ci si rese conto che la chiesa in Francia “aveva toccato il fondo” e che – per dirla con Sam Gregg, che ne ha scritto su First Things – “il progressismo non poteva invertire l’evidente decadenza del cattolicesimo in tutta la Francia”. E’ la generazione dei Jean-Marie Lustiger, l’uomo che Giovanni Paolo II nel 1981 volle arcivescovo di Parigi dopo solo due anni trascorsi come vescovo di Orléans. Lustiger le bulldozer, perché in poco tempo mise in atto un piano finalizzato a “far uscire i francesi cattolici dalla mentalità del declino programmato”. Tre decenni dopo, i semi hanno dato frutto. Sempre du Cleuziou, nel 2014, mandava in libreria Qui sont les cathos aujourd’hui?, un saggio in cui – pur ammettendo che “la sola religione in crescita è l’islam” – notava che “sta mutando il rapporto di forze all’interno della chiesa”, con “i neocattolici” che stanno prendendo il sopravvento sui “cattolici d’apertura”.
Il cristianesimo
non è più un'evidenza, ma una causa
da difendere. È ora
di lasciare la panhina
ed entrare in campo
Un’inchiesta realizzata tempo fa dal Figaro aveva messo in luce tale mutamento, con la crisi del tradizionale e già glorioso cattolicesimo sociale francese, che ancora oggi sopravvive in qualche zona del paese. Come a Nantes, dove il radicamento cattolico “di sinistra” ha impedito a Marine Le Pen di sfondare (ha raggranellato un misero sette per cento al primo turno) e ha visto tanti cattolici infilare nell’urna la scheda con impresso il nome del trotzkista Mélenchon. Tra i neocattolici che oggi vanno per la maggiore c’è l’abbé Pierre-Hervé Grosjean, trentanove anni, attivo sui social network e guardato con sospetto dai teorici del cattolicesimo da café per la sua scelta di vestirsi da prete in un paese (specie al sud) dove forti sono i lefebvriani. Grosjean guarda la realtà e dice che “se prima il cristianesimo era un’evidenza, adesso è divenuto una causa da difendere”.
L’abbé si rifà a quanto disse Benedetto XVI sulle minoranze creative, protagoniste nel futuro: “Lo credo profondamente. La Francia è un vecchio paese cristiano nella sua storia, nella sua cultura, nel suo Dna. Ma i tempi in cui viviamo, il deserto spirituale che ora è la Francia, rappresentano un richiamo molto forte per testimoniare, per riscoprire la grande capacità del cristianesimo di trasformare il mondo”, diceva presentando il suo ultimo libro, Cattolici, impegniamoci!.
Anche perché non è che vi siano troppe alternative: “Il cattolicesimo francese sta vivendo una situazione senza precedenti”, dice oggi al Foglio. “Ha più di millecinquecento anni di storia, ma non è mai stato una minoranza. Due esempi illustrano la situazione: l’età media dei sacerdoti è di 75 anni e solo un terzo dei bambini è oggi battezzato. Questo significa che ci saranno ancora meno sacerdoti nei prossimi venti-trent’anni, e gli adulti di allora non conosceranno più Gesù Cristo. Allo stesso tempo – prosegue l’abbé – penso che non saremo mai una minoranza come gli altri, una minoranza tra gli altri”.
“Leggendo la Nota
dei vescovi non vedo come un cattolico
possa votare per Marine
Le Pen”, dice il direttore dalle Croix
Quel che serve, dice Grosjean, è una sorta di “cattolicesimo disinibito”, senza complessi. E questo perché “una minoranza che non comunica è condannata a morire”. Il fatto è che “quando si è una minoranza, si è tentati di diluirsi o di guardare al proprio interno. In un caso come nell’altro significa essere presenti. E questo è un abbandono, cioè una parola impossibile per i cristiani”. C’è anche la necessità di reinventare modi per raccontare il messaggio del cristianesimo”. Eppure, anche in questo quadro non certo idilliaco la convinzione che qualcosa stia cambiando c’è. “I giovani hanno certamente le loro debolezze, ma sono generosi. Hanno preso colpi a causa della loro fede, ma hanno anche trovato i luoghi necessari per alimentare la loro guarigione. I nostri pellegrinaggi, i nostri santuari (Lourdes, Rocamadour) sono ferquentati da tanti giovani, che riscoprono una pratica un po’ abbandonata dai loro genitori, come l’adorazione eucaristica e la confessione.
Nelle nostre città, parrocchie di giovani si sviluppano e sono come oasi in un deserto spirituale. Molti tra loro non hanno paura di impegnarsi nel mondo della beneficenza, anche nelle periferie”. Si potrebbe dire, dunque, “inferiori di numero ma più visibili; minoranza ma più ferventi. Questo è ciò che caratterizza i giovani cattolici francesi di oggi. I sacerdoti che come me li accompagnano sono influenzati dal loro desiderio di essere testimoni di un tesoro che per noi che crediamo ha sconvolto il mondo: il Vangelo”. Quanto al piano meramente politico, il fatto è che tra i fedeli “alcuni sono in attesa del candidato perfetto, confondendo le elezioni con un processo di canonizzazione. Invece – osserva Grosjean – è tempo di lasciare la panchina e mettersi in gioco. Bisogna smettere di guardare la partita senza di noi; c’è troppo idealismo in politica”.
Perfetto o no, Fillon le catho in campo c’era. Poi però è stato impallinato da scandali famigliari, forse da qualche soffiata interna al suo stesso partito. Di sicuro, le sue visite regolari all’Abbazia di Solesmes, simbolo della reazione ottocentesca e del revival cattolico di allora, non sono piaciute all’intellighenzia nazionale, ha scritto Jean Duchesne, professore emerito al Condorcet College, consigliere speciale del cardinale arcivescovo di Parigi e direttore dell’Accademia cattolica di Francia. E’ una questione ideologica, “in diversi ambienti la religione in generale e il cattolicesimo in particolare è vista come una malattia infantile. Questa non è solo l’idea di marxisti mezzi pentiti ancora desiderosi di inveire contro ‘l’oppio delle masse’. L’avversione al cristianesimo la si trova anche nell’estrema destra e tra i centristi, dove la fede viene assimilata al fanatismo”.
Comunque stiano le cose, “il pessimismo non è giustificato”, aggiungeva Duchesne: “In Francia, l’ondata laicista del novecento coincise con l’avvento di Santa Teresa di Lisieux e con le conversioni di Péguy, Claudel e Maitain. I totalitarismi del Ventesimo secolo coesistevano con Bernanos, de Lubac, Daniélou, Congar e Bouyer. Alcuni filosofi francesi contemporanei di fama internazionale, come Jean-Luc Marion e Rémi Brague, sono cattolici. Insomma, la chiesa porta frutto anche quando è fraintesa e disprezzata”.