La tentata mostrificazione di Macron
Le cattive scelte dei philosophes parigini, che rischiano di stare dalla parte sbagliata della storia
Il social-liberalismo e l’Europa sullo stesso piano del razzismo. Questa è grossa, ed è firmata dal demografo Emmanuel Todd, bastian contrario tra i bastian contrari del ballottaggio fatale in Francia di domenica prossima. Astenersi, andare a pesca, con gioia, per affrettare se possibile la fine dell’Europa dei mercanti per mano dei nazionalisti o subire, ma senza sottomissione, un mandato aborrito per il banchiere Rothschild. Diciamo che l’intellettuale della gauche ha qualcosa di intrepido nel commettere errori ideologici, e questo dagli anni Venti del secolo scorso e lungo tutto il secolo che ne trascorre, ha un gusto per il madornale, tende a quel carattere personale riassunto nel termine spagnolo ensimismado, con i sinonimi dell’egoriferito che ensimismado significa (absorto, embebido, enfrascado, extasiado, abstraido, pensativo, embobado). Edwy Plenel, fondatore di Mediapart ed ex capo del Monde, giornalista ribelle della genia del conformismo antipotere, ha fatto la scelta opposta a quella ingenuamente o malignamente vendicativa di molti confrères, e voterà Macron, ma citando Trotskij, il suo maestro, che era contrario, et pour cause, alla linea stalinista di considerare i socialdemocratici il nemico principale. Invece Michel Onfray, ateo vivace e spericolato, che sermoneggia un po’ alla carlona sul declino del giudeo-cristianesimo, peraltro a suo dire epoca di impostori (san Paolo è il primo nella lista), fa come Todd e chiede un’astensione vendicativa contro quelli, i soliti banchieri, che nello status quo difeso con avidità hanno dato alla Le Pen la marcia in più visibile di questi tempi: tagliarsi i coglioni per far dispetto alla moglie, ecco un detto di saggezza proverbiale ignoto evidentemente al prof di sinistra absorto, extasiato, pensativo e abstraido. Con rassegnata amarezza, e in lui non è una posa, Alain Finkielkraut ha detto a Elisabeth Lévy che voterà Macron par defaut, in mancanza di meglio, salvando un quid di ragionevolezza politica.
I politici saranno pessimi, ma almeno non sono inclini a trascurare le conseguenze di un voto lepenista, diretto o indiretto. Non sarà forse la rovina, la miseria, la svalutazione di quella Francia scelta con tanto accanimento contro l’Europa (Choisir la France!), ma saranno anni molto duri, che sarebbe diciamo così, alla bobo, piacevole evitare. I politici, anche gli antimacronisti più incalliti, salvo Mélenchon che è molto ensimismado (così lo giudica Philippe Meyer), tendono a ragionare sui fatti, la loro postura antica è il realismo al quale si può sacrificare di tanto in tanto l’identitarismo degli intelligenti. D’altra parte il peso degli appelli e dei pronunciamenti in nome del vecchio potere dei philosophes, che qui a Parigi sono sempre stati un partito, un salotto, un club, prima che filosofi, è molto esiguo. Ma la mostrificazione tentata di Macron, l’assimilazione alla famiglia vichysta e antisemita di un tecnocrate democratico e repubblicano che si fa politico e si prende un pezzo di popolo per un progetto di governo sensato, si spiega soltanto con l’avversione costante, monotona, ricorrente a ogni piega della storia, verso il sistema delle libertà, che non ha a suo fondamento la radicalità del sogno e i colori dell’incubo bensì scelte di ragione e di compatibilità, di equilibrio e di sapienza che trasforma. Macron ha una famiglia diversa, una cultura della diversità, un timbro di riformismo trasversale che diluisce gli appelli alla paura nell’ottimismo, insomma è sociale e liberale, e questo basta per farne uno spaventapasseri. Basta agli intellettuali che ci hanno fatto due coglioni sulla diversità e il multiculturalismo: tra l’odore del sangue e quello del denaro, che notoriamente non olet, molti di loro hanno fatto nel profondo dell’inconscio la loro scelta, ovviamente la peggiore.