Anbang e i titani cinesi in bilico
Un’indagine troppo informata mette in discussione il gruppo assicurativo con il portafoglio facile
Roma. Negli ultimi due anni Anbang, compagnia di assicurazioni cinese, ha dominato più volte le cronache finanziarie mondiali con le sue acquisizioni miliardarie. Fondata nel 2004 come una piccola società assicurativa di provincia, in pochissimi anni Anbang è diventata un gigante del mondo finanziario cinese, che ha approfittato di una liquidità apparentemente senza limiti per dare vita a quella che gli americani chiamano “shopping spree”, un’euforia da acquisizioni spettacolari in patria e soprattutto all’estero. A partire dall’ottobre 2014 e per i successivi 18 mesi, Anbang ha speso all’estero 16 miliardi di dollari. Gioiello della corona è l’acquisizione per 1,95 miliardi del Waldorf Astoria, l’hotel iconico nel cuore di New York, comprato a fine 2014. In breve tempo Wu Xiaohui, fondatore, presidente e ceo di Anbang, è diventato un semidio del mondo economico cinese, celebrato per il suo successo e a lungo considerato politicamente inattaccabile: è sposato con la nipote di Deng Xiaoping, il padre dell’apertura della Cina al capitalismo di stato e figura che ancora gode di venerazione tra la leadership di Pechino. L’invulnerabilità di Wu è finita pochi giorni fa, quando il più importante magazine economico cinese, Caixin, ha pubblicato un’inchiesta durissima contro Anbang, accusando la compagnia assicurativa di pratiche che avrebbero gonfiato indebitamente il suo valore e che mettono in dubbio la stabilità finanziaria del gruppo.
Caixin muove sostanzialmente due accuse ad Anbang. La prima, più nota e approfondita per esempio da un’inchiesta del New York Times dell’anno scorso, è che la proprietà di Anbang è composta in gran parte di società di origini oscure, fondate poco prima di diventare azionisti, con scarso capitale e, in alcuni casi, facenti riferimento a famigliari o soci stretti di Wu. Hanno quote di Anbang anche società riconosciute come Sinopec o la casa automobilistica Saic Motor. La seconda accusa è la più grave: Anbang, attraverso la sua complicata rete di azionisti, avrebbe reinvestito i propri capitali in se stessa, in un circolo finanziario che avrebbe amplificato in maniera artificiale la reale disponibilità economica della società. Anbang ha risposto in maniera rabbiosa alle accuse, intentando causa e dicendo che l’inchiesta di Caixin è un tentativo di vendetta dopo un mancato affare di inserzioni pubblicitarie.
Ma per Wu ci sono tre segnali preoccupanti legati all’inchiesta di Caixin. Il primo è che, come hanno notato diversi esperti, l’articolo ha una quantità di dettagli e di notizie riservate inusuale per la stampa cinese. Potrebbe essere frutto del buon lavoro dei giornalisti o del fatto che qualcuno ai piani alti del governo ha aiutato Caixin a colpire Anbang. Il secondo segnale è che la settimana scorsa su internet sono affiorati dei rumors sul fatto che Wu in persona sarebbe sotto indagine. Anbang ha smentito immediatamente. Il terzo segnale è che la tempesta su Anbang si inserisce in una stretta generale del governo sul settore assicurativo, considerato a rischio per l’abuso della finanza allegra fatto negli ultimi anni. Alcuni imprenditori leader nel settore sono stati arrestati, e la manovra è culminata a metà aprile con l’arresto di Xiang Junbo, il capo dell’autorità di sorveglianza sulle assicurazioni. La versione internazionale del Giornale del popolo scrisse in quei giorni: “Dopo la caduta di Xiang Junbo, il meglio deve ancora venire”.
L’ultimo elemento che complica la vicenda è che Wu non è in contatto solo con l’aristocrazia cinese, ma anche con quella americana. Anbang, infatti, fino a poche settimane fa era in contrattazioni quasi concluse per l’acquisto di un grattacielo a Manhattan da Jared Kushner, genero-consigliere fidatissimo di Donald Trump. L’affare è fallito all’ultimo (come la maggior parte delle tentate acquisizioni di Anbang negli ultimi mesi), ma Wu fa parte di quelle connessioni cinesi ad altissimo livello che hanno fatto di Kushner il consigliere più ascoltato dal presidente americano su tutte le questioni che riguardano Pechino.
I conservatori inglesi