Equivicina o equidistante? La gauche italiana e la Francia
Voto per "turarsi il naso", "antifascismo" o scheda bianca. Parlano Nicola Fratoianni, Stefano Fassina e Pippo Civati
Roma. Il secondo turno delle presidenziali francesi è dietro la porta. La sinistra-sinistra francese non è direttamente in campo (anche se Benoît Hamon e Jean-Luc Mélenchon si stanno muovendo con un occhio alle vicine elezioni legislative). Ma che cosa farebbe la gauche italiana a sinistra del Pd, fosse in Francia? Nicola Fratoianni, segretario di Sinistra Italiana, fosse Oltralpe “molto a malincuore” voterebbe per Emmanuel Macron, soprattutto “per riflesso antifascista”.Ma con il retropensiero che “il successo del populismo post fascista sia figlio del populismo di Maastricht e delle èlite”. Né pensa che il voto per Macron “sia una soluzione alla xenofobia”. Guardando alle legislative, Fratoianni spera in una buona affermazione di Mélenchon, come argine “alla cosiddetta sinistra riformista”.
Sempre in Sinistra italiana, ma di diverso avviso, c’è Stefano Fassina, deputato ed ex viceministro dell’Economia nel governo Letta che, fosse in Francia, voterebbe scheda bianca. Come ha scritto qualche giorno fa sull’Huffington post, Fassina pensa che “Mélenchon non possa votare Le Pen, ma non possa neanche sostenere Macron”. La sua analisi parte dalla scomparsa del “fronte repubblicano”: “Nel 2002 ancora sopravviveva, quando si trattò di marginalizzare, nel duello elettorale contro Jacques Chirac, il padre della attuale candidata del Fronte nazionale”. Ma “i 15 anni alle nostre spalle lo hanno spezzato… la rottura è stata determinata da una lunga, ininterrotta, serie di colpi inferti sul suo popolo da una sinistra subalterna al liberismo, piegata all’agenda degli interessi più forti, complice o finanche protagonista di un mercato unico e di una moneta unica disegnati e realizzati per svalutare il lavoro in termini funzione sociale e politica. Il Patto repubblicano è stato tradito proprio da chi oggi lo invoca per fermare la Le Pen”, scrive Fassina. E il patto si può ricostruire, dice, “soltanto attraverso radicali correzioni alla rotta del liberismo europeista scritto nei Trattati europei”. Tutti obiettivi del programma de “La France Insoumise”, dentro ai confini del mercato unico”. Prima di tutto rispetto all’applicazione “di un protezionismo solidale, con controlli ai movimenti di capitali, oggi liberi di fare shopping globale di condizioni del lavoro” e poi rispetto all’imposizione di standard sociali e ambientali agli scambi di merci e servizi e blocco dei trattati commerciali come il Ceta e il Ttip”. Nell’area euro, Fassina pensa alla “ridefinizione dello statuto della Banca centrale europea, almeno sul modello della Federal Reserve degli Stati Uniti, per includere la piena occupazione tra gli obiettivi fondamentali e prevedere l’acquisto diretto di titoli dei debiti sovrani”. Quanto alle “correzioni di rotta pro-labour”, Fassina le vede impossibili per Emmanuel Macron, anche perché in Francia si scontrano tre visioni e tre prospettive politiche in conflitto in Francia e nella Ue”. La partita, dice, “ non è globalisti contro nazionalisti. Apertura contro chiusura”. “La France Insoumise” e la “France en marche” sono alternative tra loro, oltre che alternative a “La France de la Le Pen”. Non si tratta di essere equivicini, ma ugualmente lontani.
E Pippo Civati, leader di “Possibile”, al pensiero dell’urna francese lascerebbe libertà di voto tra non voto e voto per il meno peggio. Anche se con attenzione alla “sfumatura” tra “turarsi il naso” e “fermare il fascismo”. Quindi, collocandosi “in un’ideale posizione tra Hamon e Mélenchon”, voterebbe “con tutta probabilità per Macron”. Di cui però non condivide nulla: “ Vediamo che cosa succede poi alle legislative”, dice Civati, convinto che Macron sia “sopravvalutato”, con il suo pur “utile europeismo alla Emma Bonino, più che alla Matteo Renzi. E insomma un Macron che dice di voler detassare i ricchi non mi convince. E appunto lo voterei solo per fermare il fascismo”.