Così è nata e cresciuta l'“alt left” inglese
La radicalizzazione del mondo che ruota intorno a Corbyn e ai suoi sostenitori si nutre di molti siti piccoli attivissimi su Facebook, di propalatori di teorie del complotto e di un legame strettissimo con i sindacati
Milano. Ieri il Labour britannico ha lanciato il suo manifesto elettorale in vista del voto dell’8 giugno, ma poiché il testo quasi integrale era arrivato alla stampa già la scorsa settimana – un leak di dimensioni talmente enormi che molti pensano che sia stato fatto apposta: basta che se ne parli, questa è la regola – i commentatori si sono occupati delle spigolature. Quanto marxismo c’è in questo manifesto tax-and-spend? George Eaton sul NewStatesman spiega che il cancelliere dello Scacchiere ombra, John McDonnell, è di sicuro il più marxista degli addetti all’economia della storia recente (McDonnell dice che il suo leader, Jeremy Corbyn, non ha letto abbastanza Marx nella sua vita), ma che il manifesto è più keynesiano che marxista, ci sono misure di tassazione e di nazionalizzazione che non stonerebbero in altre sinistre europee. Magra consolazione, se si pensa che la sinistra tradizionale in Europa sta vivendo un momento piuttosto lugubre, ma questo è il Regno Unito, vive di eccezionalità, e i tanti sostenitori di Corbyn che ieri si sono riversati al suo comizio a Bradford dicevano: non guardate i sondaggi, ci sono già stati errori pazzeschi in passato, il Labour è ben più forte di quanto i media vi vogliono far pensare.
I media sono un’altra dannazione di Corbyn, che ieri al suo popolo ha detto che ci sono due campagne elettorali in corso, quella sotto ai suoi occhi, calorosa e appassionata (e i registrati al Labour sono cresciuti grazie a un attivismo grassroots vivace), e quella che raccontano i media, in cui il Labour è il fantasma di se stesso, destinato a una sconfitta senza appello. Quando sono iniziate le domande dei giornalisti, ci sono stati molti fischi dalla folla, Corbyn ha dovuto ricordare che tutti hanno diritto di parola, “anche i giornalisti”, mentre faceva il giro del web il video della reporter della Bbc impegnata in una domanda mentre il capo della comunicazione corbyniana, Seumas Milne, si aggirava livido e nervosissimo dietro di lei, avanti e indietro.
La sfiducia totale nei confronti dei media tradizionali, pure di quelli considerati di sinistra, ha portato alla radicalizzazione del mondo che ruota intorno a Corbyn e ai suoi sostenitori che ora viene definito “alt-left”, la versione di sinistra della alt-right di cui tanto si è parlato in America da quando Trump è andato alla Casa Bianca. L’alt-left si nutre di molti siti piccoli ma attivissimi sui social – soprattutto Facebbook, perché Twitter è la patria dei giornalisti mainstream – di una nutrita compagine di propalatori di teorie del complotto e di un legame strettissimo con i sindacati, che sono tornati di nuovo protagonisti assoluti della politica del Labour, riuscendo, con l’aiuto di Corbyn, a invertire anni di disincanto laburista nei loro confronti. Poiché i paragoni spesso semplificano le spiegazioni, c’è anche una versione alt-left di Steve Bannon, il consigliere in capo di Trump, misterioso e ideologizzatissimo ex direttore di Breitbart: si tratta di Andrew Murray – e il paragone premia più lui che Bannon. Murray è stato nominato capo della campagna elettorale del Labour in questi pochissimi giorni che mancano al voto: Murray è diventato laburista con Corbyn nel 2015, prima di allora ha militato nel Partito comunista per quarant’anni ed è stato a più riprese il presidente di Stop the War, l’organizzazione di cui anche Corbyn è stato mattatore, che vuole fermare soltanto le guerre dell’occidente, ma quelle dei dittatori o dei russi no (è anche straordinariamente contro Israele: in un discorso del 2012, Murray disse: “Abbiamo un messaggio per l’ambasciata israeliana, per il governo israeliano: ogni volta che uccidete un bambino palestinese, vi state scavando la vostra fossa”). Murray ha anche più volte elogiato il regime sovietico, Stalin e i dittatori di Pyongyang, ma il suo ruolo di oggi è stato determinato per lo più dall’attività che ha fatto come chief of staff del potentissimo leader del sindacato Unite, Len McCluskey. La nomina di Murray sancisce il predominio dei sindacati sul Labour, cosa che fa impazzire i moderati del partito – che ogni giorno cercano una nuova via di fuga, che sia una scissione, una nuova compagine, un golpe interno – ma che alla base laburista non dispiace, come ribadiscono sempre i corbyniani.
Il tuffo nel passato, prima che arrivasse il contagio liberale, risuona glorioso in molti siti web che stanno ottenendo una visibilità molto vasta. Buzzfeed Uk ha messo in fila i principali componenti della galassia alt-left – Another Angry Voice, The Canary, Evolve Politics, Skwawkbox – che non sono conosciuti né citati nel mainstream ma che “hanno un traffico per cui molti molti media tradizionali potrebbero uccidere”. Il traino è stato determinato da una verve anti Tory che naturalmente è più vasta rispetto al mero sostegno a Corbyn, ma ora il picco di crescita è stato raggiunto con articoli del tipo “tutto quello che non vi stanno raccontando su Corbyn e sul suo programma”, in cui si ritrovano finalmente uniti e finalmente più forti molti lettori che negli ultimi anni si sono abbeverati in modo piuttosto solitario a queste fonti di notizie. Le persone normali non hanno tempo di discernere le sfumature, leggono i titoli e poco più, magari pensano che Corbyn non goda di grande sostegno presso i media ma aggiungono che forse non se lo merita, il sostegno: per questo, ha spiegato Thomas Clark, che già da dieci anni tiene il blog Another Angry Voice, ci pensa lui a mettere insieme una contropropaganda con grafici e spiegazioni che ribaltano la regola anticorbyniana predominante. Al fuoco della destra populista che ha trovato aggregatori e finanziamenti sempre più consistenti – mentre il loro partito di riferimento, l’Ukip, implodeva: che beffa – si risponde con il fuoco della sinistra populista, senza nascondersi. “Abbiamo pregiudizi, assolutamente – dice Kerry-Anne Mendoza, direttrice del Canary – Abbiamo pregiudizi a favore della giustizia sociale, dei diritti uguali per tutti. Critichiamo il Labour soltanto quando si distanzia dalle sue posizioni di sinistra”.
I primi a saggiare la forza dell’alt-left sono stati i laburisti moderati che stanno facendo una campagna elettorale schizofrenica, divisi tra la voglia di vincere e di far vincere il Labour e un’inconciliabilità con la leadership ormai incolmabile: molti di questi politici locali si trovano davanti elettori che citano storie lette in questi siti, e devono trovare argomentazioni che non li facciano sembrare dei conservatori. L’equilibrio è complicato, e i corbyniani hanno capito che i margini di avanzamento c’erano: il successo di Skwawkbox, che finora era sconosciuto, è figlio di questa consapevolezza. Molte delle storie di Skwawkbox sembrano leak di insider dentro al Labour, cioè sono molto informate e coerenti, quasi più dei corbyniani stessi.
Se questa operazione mediatica avrà successo dipenderà da Corbyn, il quale è a caccia di un equilibrio altrettanto complicato. Propone una “tax bombshell” (il 50 per cento di aliquota per i redditi superiori ai 144 mila euro annui) e investimenti senza copertura, ha molti dei suoi che continuano a impappinarsi sui numeri quando vengono intervistati (la regina in questo senso è Diane Abbott, che ormai è diventata un fuoco amico per il Labour), e intanto deve tenersi lontano dalla Brexit, perché lì, sulla questione cruciale, sta il suo calcolo meno riuscito. In questo l’alleata migliore è la sua principale nemica, il premier Theresa May, che si incammina verso l’8 giugno sentendosi già vittoriosa, ma evita anche lei di parlare troppo di Brexit, perché è vero che il popolo britannico ha votato, ma sulla gestione del negoziato con l’Europa ci sono molti dubbi, parecchi anche tra i suoi sostenitori.