Le informazioni spifferate ai russi da Trump arrivano da Raqqa
E' indubbio che il meccanismo di condivisione dell’intelligence fra paesi alleati esce scosso dalle ultime 24 ore di rivelazioni
[Aggiornamento alle 19.40 del 17/05/2017] Fonti del Jerusalem Post segnalano che la città dove operava l'infiltrato israeliano nello Stato islamico e indicata dall'intelligence a Donald Trump è Raqqa. Nell'articolo spieghiamo perché era la più probabile.
Roma. A meno di una settimana dal primo viaggio in Israele del presidente americano Donald Trump, il New York Times aggiunge una rivelazione micidiale a uno scoop già micidiale del Washington Post uscito lunedì sera: la fonte delle informazioni segrete che il presidente ha rivelato ai russi è Israele. A gennaio, una settimana prima dell’inaugurazione a Washington, un analista militare israeliano dalla reputazione solida, Ronen Bergman, scrisse sul quotidiano Yedioth Ahronot che gli agenti dell’intelligence americana avevano avvertito i colleghi israeliani: attenti a condividere informazioni con noi quando Trump sarà presidente, perché potrebbero essere passate ai russi. Considerato il fatto che in questo momento la Russia è il partner strategico dell’Iran, a causa dell’intervento militare in Siria, il rischio – avvertivano le spie americane – era che gli israeliani avrebbero potuto passare le loro informazioni d’intelligence ai loro nemici in Iran. Quello scenario potenziale oggi suona plausibile. Israele non conferma la notizia e Ron Dermer, ambasciatore negli Stati Uniti, dice via mail al New York Times che i due paesi manterranno una stretta collaborazione nel campo dell’antiterrorismo. Ma è indubbio che il meccanismo di condivisione dell’intelligence fra paesi alleati esce scosso dalle ultime 24 ore di rivelazioni e il clima non sereno spinge un funzionario senza nome di un servizio segreto europeo a dichiarare all’Associated Press che il suo paese potrebbe smettere di scambiare informazioni con gli Stati Uniti. Burkhard Lischka, un parlamentare tedesco della commissione Intelligence, dice che se Trump rivela informazioni d’intelligence allora “è diventato un rischio per la sicurezza del mondo occidentale”.
Il 16 febbraio il Wall Street Journal aveva scritto che alcuni funzionari dell’intelligence americana non davano tutte le informazioni in loro possesso al presidente nel timore che sarebbero state passate ad altri o svelate. L’Amministrazione Trump è nata sotto il segno di una grande sfiducia, ricambiata, per i servizi segreti americani e quell’articolo arrivò pochi giorno dopo le dimissioni dell’ex generale Mike Flynn dall’incarico di consigliere per la Sicurezza nazionale. In particolare, gli uomini delle agenzie di intelligence avevano deciso di non dire a Trump le fonti e i metodi usati per raccogliere le informazioni.
Non è chiaro (e non lo sarà mai?) come Israele si è procurato le informazioni sullo Stato islamico rivelate da Trump ai russi. L’America ha un vantaggio tecnologico enorme sugli altri paesi quando si tratta di intercettazioni e sorveglianza elettronica, quindi non è sicuro al cento per cento che stiamo parlando di spionaggio da lontano. C’è anche l’ipotesi che Israele abbia informatori infiltrati dentro lo Stato islamico – la cosiddetta Humint, le informazioni raccolte da persone sul campo, un settore nel quale gli israeliani sono specializzati da tempo. Nel marzo 2015 lo Stato islamico pubblicò il video dell’esecuzione di un arabo di Gerusalemme est che era partito per la Siria quattro mesi prima e che confessava di essere un informatore assoldato dai servizi di Israele (ma la confessione potrebbe essere il risultato delle torture). Lo Stato islamico è in generale molto meno schizzinoso di al Qaida quando si tratta di arruolare nuovi membri, anche perché negli ultimi cinque anni ha accettato in massa circa trentamila stranieri – quindi il procedimento di selezione all’ingresso e di controspionaggio, che si chiama tazkiya, non poteva essere troppo accurato.
A fine ottobre il generale Stephen Townsend, che comanda le operazioni americane contro l’Isis, disse che lo Stato islamico stava complottando un attentato in occidente da Raqqa, “non sappiamo dove vogliono colpire e quando, ma dobbiamo sbrigarci a prendere quella città” (l’offensiva di terra al momento è prevista per l’estate). Raqqa, assieme alla città siriana di al Bab (che però ormai è in mano ai curdi) e alla zona di Deir Ezzor (dove avvengono a ripetizione i raid delle forze speciali), è la culla di molti piani dello Stato islamico contro i paesi occidentali, incluso il massacro di Parigi nel novembre 2015. Potrebbe esserlo anche di questo piano, citato da Trump con i russi, che prevede l’uso di computer portatili riempiti con esplosivo.
Il 21 marzo scorso l’Amministrazione americana ha vietato a tutti i passeggeri che partono da alcuni aeroporti a rischio di portare i computer portatili in cabina. La settimana scorsa si è parlato dell’estensione del divieto anche ai passeggeri che arrivano dagli aeroporti europei. Le informazioni ricevute dall’intelligence americana sono quindi abbastanza specifiche ed è probabile che Trump intendesse questo quando si è vantato davanti ai russi di ricevere “great intelligence” tutte le mattine. Ha anche citato il luogo di provenienza delle informazioni (il Washington Post lo sa ma non lo ha scritto). Raqqa è la città indiziata numero uno. Vale la pena notare come tra agosto e dicembre in quell’area c’è stata una moria di capi dello Stato islamico, incluso il direttore dei media, un leader molto importante che si chiamava Abu Mohamed al Furqan, ma nella lista ci sono anche tunisini e francesi coinvolti nella pianificazione di attacchi all’estero. Le uccisioni mirate con i droni hanno registrato un’accelerazione improvvisa – come se le informazioni fossero divenute più precise.