Che cosa sa Flynn su Trump?
I danni dell’ex generale continuano a emergere, ma Trump lo difende (anche se sapeva). Perché?
New York. Perché Donald Trump ha continuato a difendere con ostinazione Michael Flynn? Perché mette a rischio la presidenza per un ex consigliere della Sicurezza nazionale compromesso in tutti i modi? Ben Smith, direttore di BuzzFeed, ha riformulato la domanda nel modo in cui molti se la pongono a Washington: che cosa sa Flynn su Trump? Per il presidente sono giornate febbrili di leak, rivelazioni e scoop su tutti i fronti, dai rapporti con James Comey alla rabbia verso il suo staff. L’unica costante nella buriana è Flynn. Ogni nuova informazione peggiora la posizione dell’ex generale e dell’ex presidente, che sapeva molto delle operazioni spregiudicate e forse criminali del suo consigliere, e dunque fatica sempre di più a presentarsi come un leader ignaro, circuito da un funzionario cospiratore o pasticcione che poi è stato allontanato.
L’immagine che ne esce è piuttosto quella di un presidente attivamente impegnato per salvare il suo disgraziato protetto. Attraverso un resoconto scritto da Comey, e trapelato al New York Times, sappiamo che Trump ha fatto almeno in una circostanza pressioni esplicite sull’Fbi perché l’inchiesta fosse insabbiata e Flynn salvato. Da fonti vicine all’ex generale raccolte da Michael Isikoff, di Yahoo News, sappiamo anche che di recente il presidente ha mandato un messaggio a Flynn: “Stay strong”, tieni duro. Sono le parole simili a quelle che Nixon ha scritto al suo capo di gabinetto, H. R. Haldeman, dopo averlo licenziato all’alba del Watergate. Tieni duro, scriveva Nixon, ma in realtà intendeva “non testimoniare contro di me”. Nel sovraccarico di informazioni si è un po’ persa una ricostruzione molto scrupolosa fatta da McClatchy su una manovra molto significativa messa in atto da Flynn prima dell’insediamento.
Attorno al dieci gennaio, scrive McClatchy, il consigliere della Sicurezza nazionale in carica, Susan Rice, ha sottoposto a Flynn, che l’avrebbe succeduta di lì a poco, il piano che il Pentagono aveva preparato per la riconquista di Raqqa. Chiedere l’autorizzazione per una decisione di tale portata è la procedura normale nella fase di transizione fra due Amministrazioni. Il piano prevedeva che l’operazione fosse guidata dall’esercito curdo, l’unico considerato in grado di agire efficacemente, ma a Flynn l’idea non piaceva affatto. Ha bloccato immediatamente la decisione, rimandando l’operazione di mesi. Escludere i curdi era in linea con i desideri della Turchia, ma a quel punto a Washington nessuno sapeva che Flynn aveva lavorato come lobbista per il governo di Ankara, ricevendo 530 mila dollari come compenso. In altre parole: Flynn ha deviato una decisione rilevante in una direzione gradita a uno stato straniero che lo pagava per tutelarne gli interessi. Nessuno sapeva allora del legame con la Turchia, con qualche eccezione, come direbbero gli avvocati di Trump.
Sulla base di diverse fonti, il New York Times ha scritto che il 4 gennaio Flynn stesso ha informato il transition team che era sotto inchiesta dell’Fbi per i rapporti con la Turchia. Prima lo ha comunicato al capo del team legale, Donald McGahn, e due giorni dopo all’intero staff di avvocati dell’Amministrazione in procinto di insediarsi. Trump sapeva del grave inghippo di Flynn, ma ugualmente gli ha permesso di prendere decisioni sulla politica estera e ha confermato la sua nomina a consigliere per la Sicurezza nazionale, l’unica fra le posizioni che contano a non avere bisogno della conferma del Senato. Trump ha resistito a qualunque richiesta di abbandonare l’alleato. Due giorni dopo le elezioni, Obama gli aveva suggerito di non prendere nella squadra l’ex generale; Sally Yates, procuratore generale che era rimasta in carica nell’attesa della conferma di Jeff Sessions, ha detto che Flynn era ricattabile dai russi, con i quali aveva avuto estesi e documentati rapporti. Yates è stata licenziata, così come è stato licenziato Comey dopo i tentativi di fargli abbandonare l’inchiesta su Flynn. C’è voluto un conflitto con Mike Pence, il vicepresidente che è andato in televisione a dire che Flynn non aveva avuto contatti con l’ambasciatore russo, a determinarne la cacciata. Ma anche allora Trump ha continuato a difenderlo, presentandolo come un “decent man” e un “good guy”. Flynn ha ricambiato rifiutandosi di dare le carte alla commissione del Senato che sta facendo la sua inchiesta. Forse il motivo di tanta lealtà si trova nell’incipit di una lettera degli avvocati di Flynn datata 30 marzo: “Il nostro cliente ha una storia da raccontare”.