Manchester, la città dei talenti
La May denuncia la vigliaccheria dei terroristi mentre Manchester scrive sui marciapiedi la propria forza
Milano. Manchester, la città del talento come la chiamano molti inglesi, s’è svegliata “nella sua alba più difficile”, ha detto il sindaco della seconda metropoli più importante del Regno Unito, il laburista Andy Burnham, eletto lo scorso 5 maggio. L’attentato all’Arena, “un atto nauseante e scioccante di vigliaccheria”, come l’ha definito il premier Theresa May, ha riportato la memoria alle cicatrici di questa città, che ricorrono spesso nelle chiacchiere, l’aereo del Manchester United schiantato alla fine degli anni 50 mentre decollava dall’aeroporto di Monaco (c’è l’orologio fermo sull’ora dell’incidente all’Old Trafford), l’incendio dei magazzini Woolworths alla fine degli anni 70, il tritolo dell’Ira negli anni 90, una stagione di violenza che questa città votata al futuro e al progresso e alla competenza aveva superato a suon di eccellenze e di miti, nella musica, nel calcio, nella letteratura, nell’arte, ora anche nella tecnologia, con quel sogno di “capitale digitale” che il sindaco Burnham aveva dettagliato soltanto qualche giorno fa. La vigliaccheria martedì ha colpito ventidue famiglie, ragazzine e mamme uccise mentre uscivano dal concerto di Ariana Grande, e i “mancunian”, i cittadini di Manchester (l’origine del nome è celtica, viene da “mamm”, madre), si sono uniti in uno sforzo di solidarietà, lo stesso che abbiamo visto all’opera anche nelle altre capitali colpite dal terrore in Europa, Londra, Parigi e Bruxelles, anche se ogni volta qualche nuovo particolare ci commuove – a questo slancio, almeno, non vogliamo abituarci.
Il cordoglio internazionale è arrivato rapido e caloroso, e mentre si delineava la dinamica dell’attentato, il terrorista morto uccidendo le sue vittime e i primi arresti, ci si poneva la solita domanda, che ha anche la solita risposta: perché Manchester?
L’obiettivo dei terroristi è colpire nel mucchio e nel modo più innaturale possibile, e più innaturale dell’uccidere bambine e ragazzine innocenti stanche e felici dopo il concerto della loro beniamina non c’è nulla. Così anche Manchester, con la sua forza che martedì era scritta con i gessi sui marciapiedi – “we are strong” – entrerà nell’elenco delle città occidentali straziate dal terrore – l’attacco più grave nel Regno Unito dalle bombe a Londra del 7 luglio del 2005. Molti cantanti, scrittori, artisti martedì hanno raccontato la loro Manchester, o “Madchester” come viene chiamata per sottolinearne l’insolenza, mentre gli storici ricordavano che questo centro da sempre ama mettersi nella prima fila delle sperimentazioni sociali e artistiche: con la rivoluzione industriale, Manchester divenne il nucleo empirico degli studi sulle trasformazioni sociali avvenute con l’industria e l’arrivo del capitalismo – Marx e Engels iniziarono a scrivere il Manifesto del comunismo nella celebre Chetham’s Library di Manchester. Contraddizioni e sintesi, questa è stata la città, anche negli anni gloriosi della sperimentazione musicale: Tony Wilson, leggendario imprenditore musicale che della città è sempre stato un ambasciatore, diceva: “Qui siamo a Manchester. Qui le cose si fanno diversamente”, e martedì, mentre tutti ascoltavano gli Oasis e gli Smiths per ricordare (anche da lontano) quanto è potente nella storia recente l’immaginario che è stato costruito a Manchester, si sentiva la stonatura, l’ambizione di unicità e la banalità brutale di un “altro” attentato contro l’occidente e i suoi infedeli. Manchester è l’ennesimo simbolo, con la trasformazione voluta dall’ex cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, che immaginava un Regno Unito meno Londra-centrico, rafforzando la capitale del nord, con la sua vivacità data da un’integrazione di cui a lungo, ahinoi, si è parlato come esempio da replicare e da una gioventù attratta dallo spirito ribelle della città.
L’identikit e la storia dell’attentatore uniranno tutti i puntini della vulnerabilità: il livello di allerta era molto alto, l’antiterrorismo ripete da mesi che gli attacchi contro lo Stato islamico – che ha prima celebrato la strage di Manchester e poi l’ha rivendicata – in Iraq e Siria avrebbero rinvigorito la volontà jihadista di colpire in occidente. Theresa May ha ripetuto martedì che la probabilità di altri attentati è elevata, ma in visita all’Arena, che è considerata alla pari del Madison Square Garden newyorchese per la sua rilevanza culturale, il premier ha ribadito che “i nostri valori prevarranno”.
Da anni il Regno Unito combatte il terrorismo impegnandosi militarmente all’estero e investendo all’interno sulla sicurezza – martedì Haaretz, quotidiano israeliano, raccontava che il Regno Unito ha un record di attacchi terroristici sventati che rivaleggia con Israele – e sulle famiglie e le comunità musulmane per cercare di individuare ed emarginare gli elementi più radicalizzati. Quando era ministro dell’Interno, la May era nota per i suoi metodi duri – anche se oggi i suoi oppositori politici dicono: ha poco da essere sconvolta, non ha fatto nulla per sei anni – ma assieme all’allora premier David Cameron aveva contribuito alla creazione di una strategia che formasse una sinergia tra investimenti in intelligence e investimenti “culturali”, di educazione all’antiterrorismo. A ogni attacco, andato a segno o sventato (l’ultimo è di esattamente due mesi fa, il 22 marzo, a Westminster), quell’impostazione viene messa in discussione, e nei prossimi giorni, quando la campagna elettorale per il voto dell’8 giugno riprenderà, se ne vedranno le ulteriori evoluzioni – già martedì molti commentatori si domandavano che effetto avrà l’attentato sulle elezioni, la May aveva risposto con un discorso ispirato e decisissimo fuori da Downing Street. Dave Haslam, dj e storico della cultura pop di Manchester, martedì ha fatto un tweet citatissimo: “Avete scelto la città sbagliata se pensate che l’odio finirà per dividerci”. E’ diventata in poche ore la definizione perfetta dello spirito di Manchester, mentre continuava l’identificazione delle vittime, frangette e sorrisi furbi di bambine uccise.