May vuole attaccare il terrorismo (anche) sulla frontiera di internet
Il premier britannico è il più combattivo contro la propaganda jihadista online, ma ci sono due problemi: Silicon Valley e privacy
Roma. Come d’abitudine dopo ogni attacco terroristico in Europa, ma questa volta con il G7 di Taormina come palcoscenico, è tornato in auge in questi giorni il dibattito complesso sull’uso di internet e della tecnologia quali strumenti di propaganda, diffusione e organizzazione del terrorismo internazionale. E come già successo in passato – questa volta con più giustificazioni che mai, visto che il terrorismo ha portato l’attacco sul suo suolo – il governo conservatore inglese è il più deciso sulla necessità di limitare i poteri delle grandi compagnie di internet – limitare perfino la libera espressione degli utenti, se necessario – al fine di ottenere più armi contro la minaccia terroristica. Secondo le indiscrezioni del Financial Times e del Guardian, il primo ministro britannico Theresa May è andato a Taormina con l’intenzione di fare della lotta al terrorismo, specie quella digitale, il primo punto nell’agenda dei grandi del mondo. Lo Stato islamico, sostiene la May, si sta spostando “dal campo di battaglia a internet”, ed è necessario che l’occidente sia pronto a combattere questa nuova guerra. La prima esigenza, per Londra, è quella di sviluppare strumenti per individuare e cancellare automaticamente i contenuti dannosi, sviluppando delle linee guida valide per tutti che definiscano quali contenuti sono considerabili “dannosi” e quali no.
Già due giorni fa il tabloid Sun, parlando con alcuni parlamentari conservatori, aveva scritto che se i Tory dovessero vincere le elezioni una delle prime misure da adottare riguarderà une riforma invasiva dell’antiterrorismo su internet. Secondo il Sun, la riforma riguarda anche il tema della crittografia, vale a dire il fatto che i produttori di molte app di chat, da WhatsApp a Telegram, per valorizzare la privacy degli utenti hanno reso i contenuti delle conversazioni online inaccessibili a qualunque agente terzo, che si tratti della polizia o del produttore stesso. Questo consente agli utenti di chattare in sicurezza, ma offre riparo anche alle comunicazioni dei terroristi. Secondo i Tory sentiti dal Sun, la May vorrebbe costringere le aziende tecnologiche ad “aprire” la loro crittografia su richiesta delle forze dell’ordine. Prima ancora dell’attacco di Manchester, la settimana scorsa, nel suo manifesto elettorale il primo ministro aveva messo particolare enfasi sulla lotta online alla propaganda terroristica, promettendo interventi per evitare che internet diventi “uno spazio di comunicazione sicuro per i terroristi” e invocando un’azione decisa del governo nel controllo di cosa può e non può essere pubblicato e diffuso online (non solo per quanto riguarda la propaganda terroristica, ma anche sulla pornografia e l’hate speech). Come ministro dell’Interno, infine, May ha promosso nel 2016 l’Investigatory Powers Act, una legge che dà alle forze dell’ordine ampi poteri di intercettazione e controllo delle comunicazioni e delle attività in rete.
Insomma, Theresa May è convinta che il nuovo fronte della guerra al terrore sia online, e ha posto Londra all’avanguardia in questa guerra. Ci sono due ostacoli al suo progetto: la contrarietà delle grandi compagnie di internet, specie Facebook e Google, che sono i gestori dei servizi messi sotto accusa dalla May e che hanno un’idea tutta diversa di contrasto ai contenuti dannosi, che non passa per il maggior controllo ma per l’affinamento delle tecnologie. Nel manifesto dei Tory si parla di costringere le compagnie digitali alle loro responsabilità, ma questo almeno per ora si è rivelato un compito difficile e controverso. Anche perché controlli stringenti come quelli allo studio nel Regno Unito spesso portano con sé preoccupazioni giustificate sulla privacy e la riservatezza degli utenti: May chiede diritto di intercettazione libera, e a ragione, perché in rete ci sono ancora troppe pieghe oscure in cui il terrorismo si acquatta facilmente. Il rischio è dimenticarsi delle necessarie garanzie.
I conservatori inglesi