I silenzi di Corbyn, le debolezze di May: il Regno Unito al voto
Ai seggi 46,9 milioni di britannici. Si conclude una campagna elettorale tutta soldi, tasse e terrorismo. I Tory viaggiano verso una vittoria molto più sofferta rispetto ai pronostici
Londra. L’uscita imminente dall’Unione europea è il grande rimosso delle elezioni di oggi, elezioni in cui 46,9 milioni di britannici decideranno che forma vogliono dare al Regno Unito nei prossimi cinque anni, se quella spigolosa delineata dalla premier Theresa May, che secondo gli ultimi sondaggi si avvia verso una vittoria robusta ma non travolgente, o quella tutta morbida e spendacciona di Jeremy Corbyn, vincitore morale di una campagna che lo ha visto passare da underdog a candidato simpatico e, a tratti, quasi credibile. Le urne resteranno aperte dalle 7 alle 22 ora britannica e i primi exit polls sono attesi subito dopo: potrebbe essere come nel 2015, quando il quadro apparve chiaro fin da subito, o come nel referendum del 2016, quando Nigel Farage davanti a una presunta vittoria del remain fece un discorso amaro e crepuscolare. Prima di esultare, poche ore dopo, davanti ad un risultato che portava la sua firma.
Si è parlato di terrorismo, per forza, e la May non ci ha fatto una bella figura con una serie di falle di intelligence che se fossero avvenute in Belgio si sarebbero chieste le dimissioni anche del re. Ha cercato di recuperare inseguendo la destra, come ha il riflesso di fare su tutti i temi, ma queste sette settimane di campagna elettorale hanno fatto un danno grave, ed è quello di farla apparire poco credibile quando fa la faccia seria di quella che ha deciso una volta per tutte. Si è parlato di Brexit, senza entrare in dettagli che nessuno conosce, e la May ha cercato ancora una volta di puntare sulla carta che le riesce meglio, ossia quella dell’unica persona che non ha bevuto e che può guidare dopo la festa. Corbyn è rimasto ambiguo, come da un anno a questa parte, lasciando a un elettorato più confuso di lui il compito di interpretare i suoi silenzi.
Foto di Cristina Marconi
I grandi temi della campagna elettorale, come sempre nel Regno Unito, sono stati i soldi, le case dei nonni e le cure dei bambini, le bollette del gas e le tasse universitarie dei figli più grandi, le tasse sui redditi altissimi, che per Corbyn iniziano a 70mila sterline, e quelle su quelli bassissimi, e il muro di diffidenza verso la May si è alzato proprio lì, quando ha anche solo pensato di poter mettere le mani in tasca ai proprietari di casa anziani, che sono i suoi elettori di ferro, quelli che non la molleranno mai ma che ora rischiano di volere presto un nuovo leader. Perché le elezioni del 2015 sono state dimenticate troppo presto, spiega al Foglio chi le campagne le ha fatte, e David Cameron è stato archiviato come se non avesse portato per due volte il partito al governo con il suo fare carezzevole verso la middle class e le imprese, nonostante l’austerità necessaria da cui il paese pensa sia giunto il momento di uscire. Errore madornale, quello di pensare che tutto quello che valeva prima della Brexit non valga più.
La vittoria del Labour non sembra volerla nessuno al di fuori della cerchia aggressiva di Momentum, la guardia pretoriana di Corbyn, che forse non vuole vincere neanche lui visto che all’impresa di liberarsi di Diane Abbott non ha fatto seguito quella di tirare fuori un nome un po’ più accattivante di Lyn Brown, una deputata famosa solo per aver litigato con un cieco il cui cane le aveva tagliato la strada a Westminster. Ma lui è andato meglio del previsto e se non si dimetteva quando aveva gli indici di gradimento ai minimi storici, mai lo farà ora che ha dato una prova più che dignitosa, che magari non sarà una vittoria ma con cui sicuramente chi vuole progettare un futuro per il Labour deve fare i conti. Per Theresa è più difficile: anche se stravincesse, le sue debolezze le ha esposte tutte e questo non è sfuggito né nel suo partito né, tantomeno, a Bruxelles. O forse quello che è successo in queste settimane è stata solo la violenta correzione di un potere che si andava facendo eccessivo – qualcuno parlava addirittura di una deriva erdoganiana della May –, è stato solo il modo in cui i britannici hanno ricordato a chi vuole governarli che a comandare è sempre e comunque il popolo.