Elezioni in Regno Unito, cosa è andato storto?
Tre esperti ci spiegano i paradossi del voto inglese, tra swing Labour e una May sopravvalutata
Milano. Inaspettato “ma nemmeno troppo” il risultato delle elezioni britanniche, dice al Foglio Stephen Davies, direttore studi dell’Institute of Economic Affairs, tra i think tank più antichi e importanti del Regno Unito: “I conservatori in realtà non sono andati malaccio. Hanno aumentato il proprio consenso del 6 per cento, ottenendo il miglior risultato dal 1983 e, in termini di voti, il loro secondo miglior risultato elettorale di sempre: la May ha preso due milioni di voti in più rispetto a David Cameron”. Il problema dei Tory, secondo Davies, è stato che i laburisti hanno guadagnato il dieci per cento dei consensi in più rispetto a quando l’elezione è stata indetta, ad aprile, “facendo il miglior balzo in avanti da un’elezione all’altra mai registrato dal 1945”, e così facendo ne hanno rosicchiato l’egemonia, riportando il Regno Unito a essere un paese nettamente bipartitico (e paradossalmente costretto a un governo di coalizione). Secondo Tim Bale, professore alla Queen Mary University di Londra, questo deludente risultato elettorale – i Tory non hanno più la maggioranza assoluta – si deve al fatto che i conservatori hanno preso sottogamba la minaccia laburista, mentre il Labour, di converso, si è auto sottovalutato sino all’ultimo. “I conservatori erano talmente sicuri di vincere – dice Bale – che hanno presentato un manifesto che gli consentisse il più ampio spazio di manovra possibile una volta tornati al governo, anziché sforzarsi di offrire all’elettorato un programma di riforme ottimale. I laburisti, convinti di non avere chance, hanno fatto l’esatto opposto”, inserendo nel manifesto promesse elettorali generose e in un certo senso idealistiche, che hanno fatto presa sull’elettorato più giovane stufo dei costi dell’austerity e disgustato dall’idea della Brexit. A questo si aggiunga il fatto che “Theresa May ha condotto una campagna elettorale molto più misera di quanto i suoi peggior nemici potessero desiderare, mentre è vero l’esatto contrario per Corbyn”.
Ecco perché il Labour è riuscito ad accrescere i propri consensi proprio dove il voto è stato reso volatile dal cambio di linea politica dei conservatori: non è un caso che sono molti di più i collegi blu che si sono tinti di rosso, che non il contrario. Adrian Wooldridge, grande saggista attualmente autore della rubrica di politica britannica “Bagehot” sull’Economist (è stato a lungo in America, ha scritto uno dei saggi più importanti sul conservatorismo americano, “Right Nation”), parlando col Foglio sottolinea come l’aumento del voto laburista si è distribuito in maniera geograficamente ottimale: le classi medie liberali nelle roccaforti conservatrici come Canterbury hanno voltato le spalle ai Tory perché scontenti della nuova linea dura su sicurezza e immigrazione, mentre per l’economia amen, un programma statalista vale l’altro. “I Tory erano molto ambiziosi. Pensavano di convincere i ceti bassi perché gran parte di essi avevano votato in favore della Brexit, perché Corbyn era troppo di sinistra e perché la May era popolare. Hanno sbagliato i propri calcoli, soprattutto sul terzo punto. L’iniziale, enorme, vantaggio dei Tory sul Labour si è distrutto man mano cercando di vendere la signora May come un talento politico unico: hanno iniziato a perdere quota proprio nel momento in cui lei cominciava a balbettare, a contraddirsi e ad apparire rigida. Hanno presto scoperto che la signora, di talento politico, ne ha ben poco”. Nel breve periodo Wooldridge non prevede dimissioni da parte del primo ministro, più che altro perché non c’è nessun “ovvio” successore in vista, “ma nei prossimi mesi la premier farà parecchia fatica a tenere insieme il governo, soprattutto per le divisioni interne al partito riguardanti la Brexit”: la linea di condotta nelle negoziazioni con l’Ue, probabilmente, verrà addolcita. Ma potrebbe non finire qui, la storia di questo voto, dice Wooldridge: “Theresa May ha indetto un’elezione per sbarazzarsi delle limitazioni imposte dalle minoranze. Ora è più limitata che mai, per cui sospetto che torneremo alle urne prima della fine dell’anno”.