Ora l'Europa punta gli occhi sul Regno Unito
La sconfitta del nazionalismo piace a Bruxelles che però non è contenta dell’indebolimento della May
Bruxelles. Lungi dal festeggiare la disfatta di Theresa May e della sua “hard Brexit”, l’Unione europea ieri ha espresso pubblicamente allarme per i risultati delle elezioni britanniche, perché mettono ancora più a rischio il buon andamento dei negoziati su un accordo di separazione consensuale. “Il nostro compito urgente ora è di condurre i negoziati per il ritiro del Regno Unito dall’Ue nel miglior spirito possibile, assicurando l’esito meno destabilizzante per i nostri cittadini, le nostre imprese e i nostri paesi”, ha avvertito il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, in una secca lettera di congratulazioni a May per la conferma a premier. “Il calendario fissato dall’articolo 50 del Trattato non ci lascia tempo da perdere”, ha spiegato Tusk. L’urgenza Brexit ha permesso a May di chiedere alla regina di formare un nuovo governo, anticipando la contestazione interna ai Tory. Ma la situazione politica a Londra è ben diversa da quella che si augurava l’Ue. Da Donald Tusk a Jean-Claude Juncker, da Angela Merkel a Emmanuel Macron, i leader speravano di trattare con una premier davvero “strong and stable”, in grado di mettere all’angolo i falchi e fare le concessioni necessarie a un accordo. Ad aprile, quando May aveva convocato le elezioni anticipate con 20 punti di vantaggio nei sondaggi, il caponegoziatore dell’Ue Michel Barnier riteneva che il voto avrebbe avuto un effetto “positivo” sulle trattative producendo un governo con “una longevità e una stabilità di cinque anni”. Ieri è venuta meno ogni certezza. May ha provocato il “caos”, secondo il popolare Manfred Weber. Ha perso la sua “credibilità”, ha detto il socialista Gianni Pittella. “Negoziati già complessi saranno ancora più complicati”, ha spiegato il capogruppo liberale, Guy Verhofstadt. Il problema non è la forza o debolezza di May in Europa, perché l’Ue si sentiva già forte in questi negoziati asimmetrici in cui il Regno Unito ha molto più da perdere degli altri 27 stati membri in caso di un mancato accordo sulla Brexit.
La prima preoccupazione per l’Unione europea è il fattore tempo. Poco importa se i negoziati inizieranno il 19 giugno o più tardi (viste le incognite, Barnier non ha ancora prenotato la sala nel palazzo della Commissione per il primo round negoziale). Il fatto è che il conto alla rovescia della Brexit è scattato il 29 marzo scorso, con l’attivazione dell’articolo 50 che dà due anni di tempo per un accordo. Sono già stati persi due mesi per la campagna elettorale. Ne restano meno di 22, da cui vanno sottratti i 6 che serviranno per le ratifiche. E’ poco per negoziare l’accordo sulla Brexit, gli accordi transitori e la bozza delle future relazioni. La paura di Bruxelles è che May diventi vittima di ricatti e agguati quotidiani, tanto più che ha riempito la Camera dei Comuni di brexiteers pronti a scatenare il conflitto sui diritti dei cittadini europei o il conto da pagare per andarsene. La scelta di allearsi con gli unionisti nordirlandesi è un altro fattore destabilizzante. Il processo di pace in Irlanda del nord è una delle tre linee rosse dell’Ue: “Non deve essere danneggiato” dall’alleanza tra Tory e Democratic unionist party (Dup), ha ricordato Weber.
Infine, la grande incognita per l’Unione europea è se May confermerà il mandato negoziale contenuto nella lettera del 29 marzo (che prevede l’uscita da unione doganale e mercato interno con un accordo di libero scambio per le relazioni future) oppure se virerà verso la “soft Brexit”. La mossa cambierebbe in positivo i parametri del negoziato, ma probabilmente sarebbe fatale a May. “Un anno dopo il referendum, ancora non sappiamo la posizione del Regno Unito sulla Brexit e sembra difficile predire quando la conosceremo”, ha spiegato l’Alto rappresentante Federica Mogherini. L’unica consolazione è che dopo l’Austria, l’Olanda e la Francia, anche le elezioni nel Regno Unito devono essere viste nel contesto della “reazione pro europea anti populista”, ha spiegato su Twitter Simon Nixon del Wall Street Journal: “Gli elettori in Inghilterra hanno rigettato il nazionalismo aggressivo” di May e dei brexiteers, mentre “gli elettori in Scozia si sono rivoltati contro il Partito nazionale scozzese”.