Quali sono i rischi per Madrid nel voto d'indipendenza in Catalogna
Appena il 33 per cento dei catalani sarebbe favorevole a dichiarare l’indipendenza in maniera unilaterale. Eppure l'instabilità politica pesa sull’unità nazionale
Roma. La prima domanda che si fanno tutti gli spagnoli è se il giorno scelto dal governatore catalano Carles Puigdemont per il suo annuncio sia casuale. Oggi il governo locale della Catalogna ha annunciato la data e il quesito del referendum per l’indipendenza della regione, elemento finale di un lungo e durissimo confronto con Madrid iniziato nel 2015. Ma oggi è stato anche il giorno della scommessa persa del primo ministro britannico Theresa May, con i risultati a sorpresa delle elezioni inglesi che hanno oscurato l’annuncio catalano perfino su molti media spagnoli. Forse Puigdemont è salito sul treno delle elezioni inglesi pensando di trarre giovamento mediatico dalla vittoria dei movimenti pro Brexit segnalata dai sondaggi fino a poche settimane fa. Al contrario, la mancata affermazione della May mette nel caos il negoziato sulla Brexit, e i dirigenti catalani si sono trovati così a svelare l’atto finale dei loro piani secessionisti in un momento in cui i movimenti autonomisti non sembrano andare troppo di moda (per non parlare dei secessionisti scozzesi, colleghi dei catalani, asfaltati al voto).
La data scelta da Puigdemont e dalla coalizione indipendentista che lo sostiene è il 1° ottobre. Il quesito che i dirigenti indipendentisti vorrebbero proporre ai propri cittadini, anch’esso annunciato oggi, è questo: “Volete che la Catalogna sia uno stato indipendente in forma di repubblica?”. “Vorrebbero”, perché il referendum, agli occhi del governo centrale di Madrid, non ha alcuna legittimità giuridica e “non condurrà da nessuna parte”, ha detto immediatamente dopo l’annuncio il portavoce del governo, Íñigo Méndez de Vigo. In effetti, il referendum è un atto unilaterale dei due movimenti politici che detengono la maggioranza al Parlamento di Barcellona: la coalizione indipendentista Junts pel Sí e il partito ultracomunista Cup, che nel novembre del 2015 hanno approvato a maggioranza un percorso legislativo indipendentista di cui il referendum di ottobre dovrebbe essere il momento culminante.
Ci sono buone ragioni per immaginare che il referendum, come dice il governo centrale, finisca in un nulla di fatto. Anzitutto perché è già successo relativamente di recente: nel 2014 il predecessore di Puigdemont, Artur Mas, indisse un referendum unilaterale simile a quello appena annunciato, ma si rivelò un flop, sia perché il governo centrale giurò che avrebbe usato tutti i mezzi legali e giuridici a sua disposizione per rendere nullo il risultato (Mas fu in seguito condannato e bandito per due anni dai pubblici uffici) sia perché andò a votare appena il 37 per cento dei catalani, rendendo inefficace qualsiasi decisione.
Questa volta il governo di Madrid, che è ancora guidato dal conservatore Mariano Rajoy, sembra meno deciso a usare le armi atomiche contro Puigdemont, forse perché il clima politico è più favorevole al mantenimento dell’unità nazionale: i tanti errori commessi dai dirigenti indipendentisti degli ultimi anni non hanno giovato alla causa. Secondo un sondaggio pubblicato ad aprile sul País, appena il 33 per cento dei catalani sarebbe favorevole a dichiarare l’indipendenza in maniera unilaterale, contro il 62 per cento contrario.
Eppure l’instabilità della politica di Madrid potrebbe costituire un pericolo per l’unità nazionale spagnola. Mentre nel 2014 Rajoy aveva la maggioranza assoluta al Parlamento, oggi governa in minoranza, circondato da un’opposizione pronta a infilzarlo a ogni errore. I partiti “costituzionali”, come li definisce Rajoy, vale a dire i socialisti e i centristi di Ciudadanos, sono sempre stati alleati solidi contro il separatismo, e anche nelle ultime settimane hanno annunciato che faranno fronte comune sulla questione catalana. Ma sono lontani i tempi in cui il leader socialista Pedro Sánchez faceva campagna con un enorme tricolore spagnolo, ora la sinistra ha qualche sbandamento nei confronti dell’estrema e di Podemos, il cui leader ha sull’autodeterminazione della Catalogna una posizione molto più ambigua e possibilista.