Macron vs May
Gli accordi contro il terrorismo, una visita problematica e la fiction. Così si ribalta l’equilibrio Londra-Parigi
Milano. Monsieur Europe incontra lady Brexit, titolava ieri il Daily Mail a denti stretti, ché i rapporti di forza tra Parigi e Londra nelle ultime settimane si sono ribaltati, e il Mail, tabloid brexittaro, soffre: tutto pareva plausibile tranne che l’Europa tornasse di moda, persino nel Regno Unito che un anno fa aveva deciso di escluderla per sempre dalla propria esperienza. Ma per divertirsi, in questi giorni, non si può non leggere l’Evening Standard: il direttore George Osborne non perde edizione per vendicarsi del suo rapporto tremendo con il premier, Theresa May, la lady Brexit più indebolita di sempre. Ieri pomeriggio sullo Standard c’era un articolo-fiction in cui si immaginavano le ultime giornate della May e di Macron, la prima che perde la maggioranza in Parlamento, il secondo che ottiene un risultato bulgaro all’Assemblea nazionale, le loro conversazioni con i collaboratori, con i consorti, con i ministri del governo. May si prepara per la visita da Macron, dice a Boris Johnson, ministro degli Esteri che vuole sostituirla al 10 di Downing Street, di aver preparato una charme offensive per il presidente francese per portarlo sulla propria strada della Brexit. Macron parla con il suo premier e prepara un grattugia-aglio per la premier inglese amante della cucina. Quando i due si incontrano, lei non tocca cibo, lui beve vino, e lei dice: “Che bella serata, immagino che questo significhi che possiamo andare verso un forte ma flessibile approccio del cosiddetto ‘debito da divorzio’ con l’Ue, giusto?”. E Macron risponde: “No”.
Questo “no” potrebbe riassumere l’umore attuale dell’Europa nei confronti di Londra, anche se si sa che i rapporti sono più profondi e articolati di così, e soprattutto ieri sera, nella visita della May a Parigi, si commemoravano i morti per terrorismo, una di quelle questioni su cui c’è un accordo sostanziale a una collaborazione sempre più stretta.
Combattere il terrorismo online è una delle priorità della May, e su questo Macron è d’accordo. Soprattutto perché c’è stato un mezzo scandalo con l’America su questo tema, quando, dopo l’attentato di Manchester, i media americani divulgavano notizie ritenute sensibili dagli inglesi. Era la vigilia del G7 di Taormina, e la May in quella trasferta mesta, tra attentati terroristici e i primi segnali dello scivolone elettorale in arrivo, costrinse il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, a dire davanti a tutti: non accadrà mai più. In effetti non è accaduto in seguito, ma in quell’occasione già era chiaro che stavano cambiando gli equilibri e che la May e Trump erano destinati a giocare un po’ la parte degli esclusi.
L’esempio lampante è dato dalla visita del presidente americano nel Regno Unito: non c’è ancora una data (è prevista in autunno), ma in compenso c’è una petizione con migliaia di firme per evitare la visita, c’è stata una discussione in Parlamento sulla questione e ora c’è anche la possibilità che la visita non si faccia proprio. La May è stata accusata di non avere polso con Trump, di aver mostrato la “disperazione Brexit” e di non aver difeso a sufficienza il sindaco di Londra, Sadiq Khan, attaccato su Twitter da Trump in uno di quegli scambi che ora ci sembrano normali, ma non lo sono per niente. Un esperto dell’Economist, Jeremy Cliffe, che ora è a Berlino e sta raccontando la leadership “stable and strong” non della May, come si augurava lei stessa, ma della cancelliera Angela Merkel, ha spiegato che il premier inglese non ci tiene particolarmente a essere l’unico alleato rimasto di Trump, né è disposta a pagare prezzi troppo alti in termini politici per la “special relationship”, ma i suoi margini di manovra sono ridotti: non soltanto perché la May è debole, ma perché la Brexit indebolisce Londra, chiunque sia premier, come dimostrano i dati sull’inflazione usciti ieri, ancora una volta penalizzanti.
Chi non ha problemi in questo senso, né di imbarazzi né di debolezza, è Monsieur Europe Macron, che anzi ha preso lo sgarbo antiambientalista e unilaterale di Trump sull’accordo di Parigi per intestarsi una campagna che sta andando molto bene, e che trolla Trump: “Make our planet great again”. E così si è invertito un processo, quello dell’isolazionismo anglosassone, e a Londra molti iniziano a stimare con orrore il prezzo dei tanti no.