Addio alla sfiducia acida e universale
Forse mi porto troppo avanti col lavoro, ma si può mettere fine a un lungo torpore, al nostro cullarci nell’idea di vivere nel peggiore dei mondi possibili. Non è solo Macron, o il tonfo dei “vaffa”. E’ che si può tornare a ragionare
Il dispositivo è cambiato. Michel Foucault, famoso filosofo francese (1926-1984), intendeva per “dispositivo” una griglia di conoscenze, pratiche, costumi, leggi che funziona come uno strumento, un dispositivo appunto, e interagisce in modo decisivo con la struttura del potere. Il potere d’immaginare il mondo e di praticarlo, abitarlo e usarlo e farsene usare, è stato per una stagione lunga e complicata, e ne parlo in termini banalmente politici, nelle mani degli apocalittici. Siamo stati consegnati per molti anni a un pessimismo cosmico, che ha accompagnato con cupe icone di povertà, di disuguaglianza, di declino e appannamento della vitalità dei popoli e della terra che abitano, una relativa opulenza o capacità di sviluppo aiutata dalla finanza globale e dallo scambio sui mercati mondiali. Il neoliberalismo ha forgiato una società radicalmente nuova, che ha al suo centro come un grande vuoto l’individuo solo con i suoi diritti, mentre si compie la solita morte di Dio e magari anche del soggetto, dell’uomo stesso. Il volto del potere, del suo bagaglio di conoscenze e competenze, delle sue tecniche di governo, è risultato sfigurato dal getto acido di questa sfiducia universale, di questo abbandono nel torpore, di questa miscredenza sistematica nella funzione di guida delle élite in società democratiche e aperte. Il banchiere è potenzialmente un ladro. Il ricco un consumatore di speranza altrui. Il politico un truffatore. Il medico un impostore. I poveri un numero inimmaginabile di esclusi. Il mondo è una miserabile città in attesa di una oscura e inafferrabile redenzione che forse può arrivare da una pulsione nazionalista fuori tempo, da una botta di orgoglio identitario, nella versione più ridicola da un semplice “vaffanculo”. Il vittimario universale si è dipanato in un elenco interminabile di cocenti disfatte dell’umanità, di menzogne della storia, di invivibilità rintracciabili nel destino dei vecchi, dei bambini, delle donne (femminicidio), nel deturpamento del clima, nell’innalzamento dei mari, una lunga teoria di pericoli al centro dei quali si è messa una diffusa, persistente, agghiacciante paura sociale.
Di questa opacità senza soluzione, sottoposta in una spirale di sospetto al meccanismo della bugia dall’alto e dello smarrimento dal basso, attività di raffigurazione in cui eccellono i media, abbiamo vissuto per alcun tempo, e rovesciando il motto di Candide, dunque inverandolo: abbiamo pensato di vivere nel peggiore dei mondi possibili in cui tutto andava male senza ristoro.
Forse mi porto un po’ troppo avanti con il lavoro, d’altra parte sono un istintivo e un superficiale, ma ho l’impressione che il dispositivo della dannazione e della miserabilità cominci ad annoiare parecchia gente. Non è più così immediatamente grato l’annunciarsi corrotti, detestabili, figure di umanità in preda alla turbolenza di un destino ignoto. Non è questione di un punto di pil o di una disfatta elettorale dei profeti di sventura più fessi della storia universale della profezia, non è questione di Macron e del suo incredibile dilagare sotto le bandiere europeiste e novatrici in una potenziale staffetta con quella donna di carattere e di rassicurazione che si prevede in buona posizione per un quarto mandato tedesco, non è solo questione della fine penosa, anticipata, di fenomeni come la Brexit oggi contraddetta dai comportamenti elettorali britannici o del fenomeno Trump o Raggi alla prova dell’esecuzione, non è questione di uno Tsipras che ormai da tre anni tratta acrobaticamente ma con successo con Schäuble il destino di un paese che sembrava condannato all’immersione negli inferi, ma è anche questione di tutto questo. La politica e i dati della situazione sociale, dopo la fase incantatoria e tragica della crisi del 2008, cominciano a dare segni di vitalità e il dispositivo dell’umore generale, chiamiamolo banalmente così, appunto tende a cambiare. Il savianismo ha rotto. Certo la tecnologia è ancora agitata come un mostro predatore di lavoro e di libertà, in certi ambientini che come ha raccontato Mariarosa Mancuso lunedì affluiscono nel lago di nostalgia del vinile e delle cassette, e le batterie di nonsensi antipolitici sono ancora cariche e rumorose. Ma sembra meno sicuro quell’automatismo che insignoriva fino a ieri ogni sfregio della realtà, ogni caricatura del vivere civile, ogni denuncia della insostenibilità del presente, con un gagliardo successo di pubblico e di critica. Può essere che mi sbagli eppure sento che si può ricominciare non dico a fare, che è cosa difficile, ma almeno a ragionare, che è cosa alla portata di tutti i cervelli sottratti all’ammasso della demagogia spicciola.
Cose dai nostri schermi