Emmanuel Macron (foto LaPresse)

Nasce una nuova Francia forte, con due nei e un rischio

Mauro Zanon

Alcuni esperti ci spiegano l’effetto Macron sulle legislative e su dove si muove il paese

Parigi. “Oggi c’è una frattura tra le élite e la nazione che non può non essere presa in considerazione. Emmanuel Macron è riuscito a ridurre questa frattura? Personalmente ho dei dubbi, ma a ogni modo è il suo obiettivo e il popolo sembra aderire al suo progetto politico”. Frédéric Saint-Clair, analista politico ed ex consigliere del primo ministro Dominique de Villepin, analizza in una chiacchierata con Il Foglio i risultati del primo turno delle legislative francesi, che hanno visto l’affermazione della République en marche (Lrm) del capo dello stato Macron, la crisi profonda dei partiti tradizionali, la fine della sbornia collettiva attorno a Jean-Luc Mélenchon, il tribuno guevarista della France Insoumise, e il crollo del Front national di Marine Le Pen minato dalle lotte intestine. “E’ la prima volta che un partito di centro riesce a emergere in maniera così dirompente. Va sottolineato che Macron è stato capace di evidenziare e denunciare un certo numero di aspetti della crisi politica che stiamo vivendo in Francia e che fino a ora non erano mai stati messi in rilievo in maniera così chiara”, dice Saint-Clair, autore del saggio “La refondation de la droite” (Salvator). “La classe politica di destra esce disintegrata da questo primo turno delle legislative, ma la base ideologica è intatta. E’ la grande differenza tra i Républicains (Lr) e il Partito socialista (Ps). Il Ps non ha più nulla su cui appoggiarsi sul piano ideologico perché l’ala più radicale è stata fagocitata da Mélenchon e dalla sua France Insoumise, e l’ala più liberale ha già raggiunto o raggiungerà Macron subito dopo il secondo turno”, spiega Saint-Clair, prima di aggiungere: “Rispetto al Ps, a pezzi e senza uno spessore teorico, a destra c’è uno sfaldamento della classe politica, e un’incapacità della stessa a capire ed anticipare le sfide del paese, ma le correnti che la attraversano sono ancora solide e bisognerebbe soltanto riattivarle”. François Baroin, ex ministro dell’Economia di Sarkozy e capofila dei Républicains alle legislative, era convinto di poter essere, il prossimo 18 giugno, in una posizione tale da poter imporre una coabitazione a Macron, di conquistare Matignon. E invece la destra neogollista riuscirà nel migliore dei casi a ottenere 100 seggi all’Assemblea nazionale, la metà di quanti ne aveva nella precedente legislatura, e lui, il cinquantenne dal volto pulito e la cravatta sempre perfetta che doveva riverniciare il suo partito facendo dimenticare gli scandali di François Fillon e le lotte interne, rischia di uscire di scena.

 

Per Libération, lo schiaffo che i Républicains subiranno domenica al secondo turno sembra “ineluttabile” e l’implosione del partito “imminente”. Alcuni osservatori sono certi che i liberali del partito seguiranno le orme di Edouard Philippe, primo ministro, Bruno Le Maire, ministro dell’Economia, e Gérald Darmanin, ministro dei Conti pubblici, e abbracceranno la maggioranza della République en marche. L’ala conservatrice, isolata, potrebbe invece vedersi costretta a creare ponti con il Front national per sopravvivere o iniziare a pensare alla creazione di una nuova creatura politica di destra, magari con l’inclusione della “dissidente” del partito di Marine Le Pen, Marion, la nipote. Ma quali sono le ragioni per cui la destra neogollista non riesce più ad aggregare i membri della sua famiglia politica attorno al proprio credo ideologico? “La storia della destra, nella seconda parte del Ventunesimo secolo, è la storia di uno slittamento verso la sinistra. Nel corso degli ultimi quarant’anni, si è andata a creare una sorta di alternativa tra il liberalismo e la destra radical-socialista, la ‘falsa sinistra destrizzata’, ossia quella di Jacques Chirac. Oggi la destra vive ancora secondo questa visione politica ed economica. Ha dimenticato il nazionalismo, termine che non osa più pronunciare perché è diventato tabù nel nostro paese, lasciandolo all’estrema destra. Ha abbandonato il sovranismo, che è oggi monopolio di Florian Philippot, vicepresidente del Fn, e di Nicolas Dupont-Aignan, leader di Debout la France. Ma soprattutto ha dimenticato il conservatorismo. Cosa resta? Il liberalismo, che però è costantemente denigrato a destra. Lo stesso Fillon, che è manifestamente un liberale, non è stato capace di rivendicare il suo credo. C’è un rifiuto della realtà da parte della classe politica di destra, che non capisce quali sono le sue radici intellettuali e quali sono le attese degli elettori. Non c’è da sorprendersi, poi, se i francesi vanno a cercare risposte altrove”. E ancora: “Durante questa campagna elettorale, la destra era convinta che si dovesse attaccare Macron e la sua République en marche sul piano economico. Ma su questo piano tra il presidente francese e Fillon, Juppé e gli altri liberali dei Républicains c’è una grande prossimità. Concentrandosi unicamente sulla questione economica, il rischio è quello di assistere alla diaspora di una parte dei neogollisti e a una possibile scissione”.

 

Lo strapotere di Macron, determinato dall’ottenimento, il prossimo 18 giugno, di 415/445 deputati all’Assemblea nazionale, inquieta gli avversari politici, che parlano già di “pericolo per la democrazia” e di “illegittimità” della sua maggioranza, in ragione dell’astensione record al 51 per cento. Per Saint-Clair, al di là del numero di scranni che Lrm riuscirà a occupare dopo il secondo turno di domenica prossima, i problemi per Macron potrebbero arrivare dal Senato, dove la maggioranza è a destra e potrebbe esserci una ferma opposizione su alcune leggi, ma soprattutto dal fatto che la sua maggioranza “non ha un radicamento”. “È una maggioranza che Macron ha formato prendendo un po’ qua e un po’ là, formata da molte sensibilità che a lungo termine potrebbero mostrare alcune divergenze”, spiega l’autore de “La refondation de la droite”, lasciando intendere che potrebbe esserci la stessa spaccatura tra lealisti e frondisti che ha minato il quinquennio di François Hollande. “A questo va aggiunto il fatto che entreranno a far parte della maggioranza numerose personalità della società civile che non hanno esperienza politica e non sappiamo come potrebbero reagire alle varie riforme. In che modo Macron riuscirà a conservare questa maggioranza? E’ tutta lì la sfida. Sono curioso di vedere fra uno o due anni, quando la sua popolarità comincerà a traballare in ragione di alcune misure, come riuscirà a gestire la situazione. Rischiamo di assistere a delle grandi manifestazioni sociali nei mesi che verranno, ma non possiamo sapere, oggi, come si accorderanno le varie sensibilità della maggioranza macronista, da destra a sinistra, dinanzi alla contestazione della strada”.

 

Secondo Thierry Fabre, caporedattore della redazione politica del magazine Challenges, la morfologia della Francia che sta per nascere dai risultati delle legislative “è assolutamente inedita”. “Non si era mai vista una maggioranza così schiacciante nella vita politica francese”, dice al Foglio Fabre, che subito mette l’accento sul rinnovamento del personale politico a cui assisteremo. “Molti deputati saranno dei neofiti, senza alcuna esperienza in politica. L’altra novità è che la Francia che si disegna con la vittoria di Macron è una Francia dove i partiti classici sono decimati, con il Partito socialista e i Républicains, le due formazioni che hanno strutturato la vita politica della Quinta Repubblica, ai margini”, spiega Fabre, prima di aggiungere: “Il rischio per Macron è quello di sedersi sugli allori, pensando: ‘Ho tutti i poteri, ho vinto, tutto sarà tranquillo per cinque anni’. Se farà questo errore, avrà delle brutte sorprese. Si pensi a François Hollande. Aveva un’ampia maggioranza all’Assemblea nazionale nel 2012, ma subito dopo la rentrée era già ricoperto di critiche per lo scarso lavoro dell’esecutivo, e la sua popolarità cominciava a scricchiolare. Macron ha ottenuto un’ampia maggioranza ma in un paesaggio politico devastato e con un’astensione record. Con questo voto apparentemente solido ma in realtà fragile, se le riforme tarderanno e i risultati non arriveranno rapidamente l’opinione pubblica potrebbe rapidamente voltare le spalle al capo dello stato”. Oltre a questo c’è il rischio, non certo da sottovalutare, di una frattura all’interno della coalizione macronista, con la possibilità di assistere a una situazione simile a quella del quinquennio hollandiano, con lealisti da una parte e frondisti dall’altra, pronti a fare ostruzionismo. “En Marche! è un partito totalmente nuovo, che un anno fa non esisteva, e non è certamente facile esprimere un giudizio sul clima che potrebbe crearsi durante la discussione delle riforme tra le varie sensibilità di destra, sinistra e centro riunite da Macron. Ma si può dire una cosa: l’organizzazione del partito macronista non ha nulla a che vedere con quella dei partiti tradizionali. All’interno di En Marche!, non ci sono delle correnti che negoziano tra di loro, come nelle formazioni politiche classiche, e sembra esserci una maggiore omogeneità perché non ci sono grandi divergenze ideologiche tra i vari membri del movimento, come nel Ps della sintesi, fallita, di Hollande. Tuttavia ci sono delle tematiche, come lo stato d’emergenza e la questione dell’ecologia, che potrebbero rivelarsi divisive e provocare attriti”, dice Fabre. Quale sarà, invece, il futuro della gauche tradizionale alla luce dei risultati delle legislative? “Il Ps non ha mai risolto la divergenza ideologica interna tra liberali e giacobini, che è una questione esistenziale nonché la ragione della sua sconfitta”, spiega Fabre, prima di aggiungere: “In Francia la corrente radicale è tuttora forte ed è sempre più sedotta da Jean-Luc Mélenchon. I social-democratici, tra cui l’ex ministro del Commercio estero Matthias Fekl, vorrebbero tentare una ricostruzione del Ps, ma sono stati eliminati. E l’ala liberale, la cosiddetta ala destra’, sta già facendo le valigie direzione Macron”.

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