Ultimo tango a Raqqa
Tutti gli aggiornamenti più importanti sulle tre battaglie in corso per battere lo Stato islamico
Roma. Questi sono gli aggiornamenti a proposito della guerra allo Stato islamico. A Mosul in Iraq nelle prossime quarantott’ore ci si aspetta l’inizio dell’operazione per prendere la moschea al Nuri, nel cuore della Città vecchia, al centro della città, l’ultima area ancora in mano allo Stato islamico, che è circondato da tutti i lati. Il comando iracheno teneva molto a prendere la moschea al Nuri durante la prima settimana di giugno, così da dichiarare vittoria prima del terzo anniversario della caduta di Mosul in mano agli uomini di Abu Bakr al Baghdadi, una delle pagine più ignominiose per le forze armate del paese. Non ci è riuscito, ma è ancora in tempo per farlo prima del 5 luglio, anniversario del discorso di al Baghdadi dal minbar, il pulpito, di quella moschea. In quel primo e unico sermone in pubblico – ma con straordinarie misure di sicurezza, incluso un servizio d’ordine nascosto in mezzo alla folla e il blocco elettronico di tutti i telefonini nell’area – al Baghdadi si presentò come Califfo davanti alla Umma musulmana (la comunità dei fedeli) e invitò tutti i musulmani a spostarsi sotto la sua protezione. Non fu, come talora si dice, il discorso che proclamò la nascita del Califfato: quello fu fatto una settimana prima dal suo vice, Abu Mohammed al Adnani (ucciso da un drone americano ad agosto 2016).
A Raqqa in Siria le Forze siriane democratiche (Sdf, secondo la sigla in inglese che è più usata), un mix di curdi e arabi armati e finanziati dagli americani – con prevalenza di combattenti curdi delle unità di difesa popolare, quindi vicini al Pkk – avanzano più veloci del previsto. La conquista di Raqqa appare per ora più facile rispetto a Mosul, un po’ per le dimensioni molto più contenute, neanche un decimo, e un po’ perché da due mesi lo Stato islamico ha spostato i capi e le strutture importanti più a sud, sempre sulle sponde dell’Eufrate, in una città più piccola che si chiama Mayadeen.
Le Sdf avanzano da nord, est e ovest, e lasciano il lato sud aperto per permettere ai baghdadisti di scappare verso sud. Così alla città già molto danneggiata dai bombardamenti potrebbero essere risparmiati i soliti, violentissimi combattimenti urbani fino alla morte. Importante: Sputnik, il canale della propaganda di stato russa, adesso chiama le Sdf “terroristi”. Segno che Mosca e il governo Assad pensano di riprendere Raqqa non appena le Sdf avranno fatto il lavoro duro, sloggiare i fanatici dell’Isis. Tuttavia, lo Stato islamico non condivide questa supposta facilità: un articolo su al Naba, settimanale in arabo del gruppo terrorista, spiega che in Siria il fronte anti Isis non può raccogliere i grandi numeri che sono impegnati nella conquista estenuante di Mosul (cinquantamila circa), che le Sdf si sono impantanate nelle battaglie precedenti e che grazie a una resistenza feroce l’Isis potrebbe costringere l’Amministrazione Trump a mandare più soldati americani in Siria – e questo è l’obiettivo del jihad.
L’agonia territoriale dell’Isis a Mosul e Raqqa distrae da quello che succede in un altro settore importante, il deserto al confine tra Siria e Iraq. Il generale iraniano Qassem Suleimani è apparso laggiù, a conferma che quell’area – un tempo insignificante – ora è al centro degli appetiti delle forze straniere in Siria. Suleimani è l’architetto delle operazioni militari dell’Iran in medio oriente, sia quelle dichiarate sia quelle clandestine. Se dividiamo quella regione in due quadranti, uno nord e uno sud, possiamo dire che a nord continua la caccia al capo dello Stato islamico Abu Bakr al Baghdadi. Le milizie sciite sono appena entrate a Baaj, poco più di un villaggio in mezzo a una catena di altri villaggi, che secondo il parere delle intelligence occidentali e arabe era il rifugio favorito di al Baghdadi.
I clan locali gli sono – gli erano? – fedeli in modo particolare e lui quasi senza scorta, con molto understatement, poteva muoversi in zona e sfuggire al destino dei suoi luogotenenti, inchiodati dai droni dentro o vicino alle grandi città in mano all’Isis. Anche Martin Chulov, corrispondente del Guardian, è arrivato a Baaj, che come si sarà capito è un posto dove i giornalisti non entravano nemmeno durante gli anni della guerra americana, dieci anni fa, tanto era infestato. A sud invece c’è una situazione imbarazzante per l’Amministrazione Trump: le forze speciali americane sono circondate dalle milizie assadiste e iraniane in una base vicino al posto di frontiera di al Tanf. Per ora i miliziani si tengono a qualche decina di chilometri di distanza, perché quando si avvicinano i jet americani li bombardano. Ma quanto potrà andare avanti questa situazione? Per tenere quel posto di frontiera, l’America entrerà in una sfida diretta con Damasco e Teheran?