Non parleremmo di Europa se non ci fosse stato Helmut Kohl
E' morto a 87 anni il cancelliere della riunificazione. Un imponente, determinato renano, cattolico. Più colto di quel che gli sia stato generalmente riconosciuto, più diplomatico di quel che l’indifferenza per l’eleganza e la mondanità lasciassero supporre
Gli insulti del tempo, la scarsa memoria, la malattia, le angustie private, persino qualche inverecondo sputazzo della politichetta (risibili storie di finanziamenti per l’uomo che aveva dominato per sedici anni la Germania) hanno il potere di corrodere come licheni rugginosi anche i monumenti di pietra. Per rendere omaggio a Helmut Kohl non è necessario spolverare la statua. A quello penseranno i posteri, e i libri di storia, molto meglio dei commiati ufficiali e dei riepiloghi di rito. Dall’altra parte del Muro Gorbaciov; dall’altra parte della Manica Lady Thatcher; dall’altra parte del Reno Mitterrand; dall’altra parte dell’Atlantico Reagan; a volare sull’Europa Giovanni Paolo II. Ma in mezzo, tetragono dentro l’imbottitura affabile, consapevole e forse anche rassegnato (il destino tedesco) al ruolo di pivot europeo che la storia gli aveva assegnato, c’era Kohl. Un imponente, determinato renano, cattolico. Più colto di quel che gli sia stato generalmente riconosciuto, più diplomatico di quel che l’indifferenza per l’eleganza e la mondanità lasciassero supporre. Il meno luccicante, o visionario, della pattuglia dei grandi politici che hanno chiuso la Guerra Universale del Novecento; che hanno chiuso con il comunismo; cementato la struttura economica e sociale di quella che oggi conosciamo come Europa; aperto le vie ai nuovi equilibri, e pure squilibri, della globalizzazione. Giocando, lui, la sua parte. Anche a tratti con parzialità, perché era l’interprete delle ossessioni tedesche: la Francia, la Russia. Non era uomo e leader da stratosfere. Non ci fosse stato lui, a tenere ancorata a terra, nel mezzo del continente, la pattuglia acrobatica dei suoi colleghi internazionali, dei suoi partner-rivali (quasi) sempre ben gestiti, senza strappi, lavorando sui tempi lunghi, le cose sarebbero andate diversamente. E non per forza meglio.
Ma anche lucidare il monumento dello statista, il Gigante divenne a un certo punto, non è così interessante oggi, per l’oggi. Il migliore omaggio – e per noi ripescaggio di memoria – che si possa fare a Helmut Kohl non è ricordare la Riunificazione, o l’europeismo solido, ideale, non sbandierato. E’ guardare all’Europa di adesso, all’accensione di speranza per un cammino possibile, e migliore di tante altre tentazioni d’uscita, che si sta riaccendendo, incrociando le dita, nell’Europa unita. Non saremmo qui, né noi né gli altri, a parlare di Macron, di una politica di riforme e del fare condotta senza isterie né muri ideologici, di una moneta unica che forse funziona davvero, degli spaventi tenuti a bada da Draghi, della possibilità di una piattaforma di nuovo sviluppo continentale che torni a essere il centro anche per altri mondi, se non ci fosse stato l’ancoraggio di Kohl. La sua visione meno luccicante, già un po’ grigia di licheni lui regnante, in mezzo ad altre utopie e visioni di maggiore rupture. Ma solida, reale, come la sua visione economica e diplomatica. Il miglior omaggio a Helmut Kohl non è girarsi indietro per dirsi che il Novecento è finito. E’ guardare avanti e dirsi che l’Europa è viva, e sta quasi bene.