I socialisti spagnoli insistono sulla coalizione grillesca con Podemos
Sembra che in Spagna solo Rajoy abbia imparato la lezione moderata che arriva da tutte le capitali d’Europa
Roma. Questa settimana potrebbe essere ricordata in Spagna per il disvelamento dello spirito autolesionista della sinistra. Iniziamo da mercoledì, quando, dopo due giornate di dibattito tedioso intervallate da qualche interessante duello retorico, il leader di Podemos, Pablo Iglesias, come previsto da tutti ha visto fallire la “mozione di censura” presentata al Parlamento spagnolo per far cadere il governo conservatore di Mariano Rajoy e prenderne il posto come primo ministro. La mozione era vista come un test della forza di Podemos, e non è andata bene: Iglesias ha ottenuto solo 82 voti a suo favore, vale a dire quelli di Podemos più un paio di partiti-frattaglia di estrema sinistra, e non è riuscito a formare intorno a sé il seguito ampio che sarebbe necessario per formare un governo o quanto meno per iniziare a pensarci. Rajoy, che durante il dibattito ha risposto punto per punto alle accuse di Iglesias, ha dimostrato ancora una volta di essere l’unico leader in tutto il panorama politico capace di tenere in piedi un governo, sebbene di minoranza – è una mera questione numerica ancor prima che politica: nessun altro ha i voti e le alleanze.
Ma proprio mentre va in scena questa dimostrazione di impalpabilità podemita, avviene qualcosa di strano. Iglesias e Pedro Sánchez, il capo del Partito socialista che pure si è astenuto nel voto per la mozione, hanno iniziato a scambiarsi messaggi (a distanza: Sánchez non è parlamentare), come confermato dalla portavoce di Podemos. Poi, a mozione fallita e Iglesias sconfitto, è successa la cosa più incredibile: prima con una dichiarazione aperturista del portavoce socialista, José Luis Ábalos, e poi attraverso una lettera dello stesso Sánchez pubblicata ieri sul Mundo, i socialisti, anziché approfittare dell’insuccesso di Podemos per far virare il discorso politico sui propri temi e acchiappare la leadership dell’opposizione, offrono a Iglesias il proprio aiuto. Al Mundo, Sánchez ha scritto che intende “ottenere il prima possibile un’ampia maggioranza parlamentare” per rimpiazzare il governo Rajoy. Tradotto, significa: alleanza Psoe-Podemos e ricerca di un terzo partner di governo, ché le due forze della sinistra da sole non hanno i numeri per formare un esecutivo. Questo significa tornare al 2016, quando per settimane Sánchez cercò penosamente e inutilmente di formare una coalizione di sinistra capace di stare in piedi, stretto tra le rivendicazioni di Podemos e i borbottii della base. Le stesse difficoltà sono già pronte a ripresentarsi oggi: i centristi di Ciudadanos, vale a dire l’unica terza forza capace di dare una maggioranza a Iglesias e Sánchez, e che oggi sostengono dall’esterno il governo Rajoy, hanno già fatto sapere di non essere interessati a governare con Podemos.
Ma portata alla sue conseguenze politiche definitive, l’apertura di Sánchez a Iglesias comporta uno spostamento importante nelle dinamiche della sinistra: allearsi con i massimalisti e oltranzisti di Podemos e, in caso di formazione di un governo, legarsi mani e piedi alle loro rivendicazioni spesso anti economiche, significa concedere a Iglesias la leadership effettiva sulla sinistra spagnola – proprio in un momento in cui quest’ultimo sembrava mostrare segnali di debolezza.
Sánchez è stato rieletto segretario generale del Psoe alle primarie del mese scorso con il mandato di restituire al Psoe la dignità perduta. Gli elettori tuttavia non si sono accorti che le ricette del vecchio segretario rieletto non sono mai cambiate: spostamento a sinistra, perno sulle identità arcaiche e abbraccio mortale con Podemos. Questo fine settimana il partito va a congresso, e il motto scelto da Sánchez è: “Somos la izquierda”, “siamo la sinistra”. Sembra che in Spagna solo Rajoy abbia imparato la lezione moderata che arriva da tutte le capitali d’Europa.
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