Tolleranti con tutti ma non con i cristiani. Il caso Farron in Inghilterra
Pigmei liberali. Il leader dei lib-dem costretto alle dimissioni
Roma. Dopo l’attentato di Londra, lo Spectator ha scritto: “La guerra di religione torna in Inghilterra dopo 500 anni”. Il riferimento è al 1535, quando Thomas More salì sul patibolo e posò la testa sul ceppo. Tim Farron non è stato portato sulla Torre di Londra. Tuttavia, 500 anni dopo Thomas More, Farron ha visto la sua carriera politica sacrificata su un altare identico a quello del suo predecessore. Il caso è quello dell’ex segretario dei Lib-Dem, Tim Farron, che due giorni fa ha lasciato con un discorso drammatico. Per una volta il destrorso Daily Mail e il progressista New Statesman sono d’accordo nell’analisi (“il fascismo liberal e l’uomo abbattuto dai pigmei morali” ha titolato il primo, “Farron e il declino del liberalismo” il secondo). Aveva il volto contratto, Farron, quando ha detto: “Ci prendiamo in giro se pensiamo di vivere in una società tollerante e liberale”.
Non importa che Farron avesse, sui diritti gay, il 90,4 per cento di punteggio positivo secondo Public Whip. O che avesse sostenuto il diritto all’aborto. Quello che era intollerabile è che Farron nutrisse, in coscienza, anche il minimo dubbio. Il liberalismo sembra aver eliminato il cosiddetto “corridoio” che aveva garantito diritto all’esistenza anche a quelle idee che non si conformano al pensiero unico. “Il liberalismo lascia spazio ai cristiani?”, si è chiesto ieri Sohrab Ahmari sul Wall Street Journal. “La domanda è stata presentata molte volte e ogni volta i liberal hanno risposto più decisamente della volta precedente: no”. Ironico che questa demonizzazione si sia consumata proprio dentro ai Lib-Dem, il partito che ha impugnato più di altri la bandiera del liberalismo classico. “I media e molti nel suo stesso partito hanno annientato Farron”, scrive il Journal. Forse Farron pensava che le sue idee liberal sul cambiamento climatico, le minoranze e l’Unione europea lo proteggessero da simili attacchi. Si sbagliava. I suoi inquisitori volevano parlare della sua morale personale, non del “remain”.
Poco dopo aver assunto la guida del partito nel 2015, a Farron è stato chiesto se, da cristiano, considerava l’omosessualità un peccato. Il leader dei Lib-Dem ha dato la risposta cristiana per eccellenza: “Siamo tutti peccatori”. Non era sufficiente. Durante un’intervista televisiva il 18 aprile, Farron è stato pressato quattro volte a rispondere e quattro volte ha rifiutato. Neppure il silenzio era sufficiente. Il giorno dopo, ai Comuni, Farron ha detto che l’omosessualità non è un peccato. Ma anche questo non era ancora sufficiente. I media dovevano essere sicuri, ma proprio sicuri, che Farron lo pensasse anche nel suo cuore. Così, un intervistatore della Bbc qualche giorno dopo glielo ha richiesto. Il Wall Street Journal parla di una guerra alla coscienza. “Non è sufficiente emancipare le persone transgender. Non è sufficiente legalizzare l’aborto”. Anche la coscienza si deve conformare. Vale per il pasticciere irlandese costretto a fare una torta in occasione delle nozze gay, per l’ostetrica svedese costretta a praticare aborti e paragonata ai tagliatori di teste dell’Isis e per i siti internet pro life in Francia, costretti al buio da una legislazione socialista. Nick Cohen, editorialista liberal, sul Guardian ha notato un ulteriore paradosso: “Jeremy Corbyn ha lavorato per la televisione statale iraniana, collaboratore volontario con un regime che giustizia i gay, tratta le donne come cittadini di seconda classe e imprigiona i sindacalisti. A Corbyn però non sono mai state fatte domande su questo”. Questo è il paradosso del liberalismo contemporaneo: “Una società che condanna un politico che crede in Dio, ma concede un salvacondotto a uno che lavora per un regime che uccide i gay”. Liberalismo da pigmei. Sarà anche per questo che, quando i simboli del liberalismo finiscono sotto l’attacco degli islamisti, i liberal li difendono in maniera così fiacca.