Fra tensioni militari e inchieste, Tillerson detta la linea morbida con Mosca
Un documento strategico rivede le relazioni con la Russia. Niente aiuti per i paesi nell'orbita di Putin. Lo scontro interno
New York. Nella Siria occidentale i russi considerano i caccia americani in volo “obiettivi aerei”, nelle procure di Washington s’indaga su collusioni e intese politiche fra l’entourage di Donald Trump e il Cremlino. In mezzo agli estremi del romanzo russo-americano c’è Rex Tillerson, il segretario di stato che all’esordio era descritto come un petroliere tirapiedi di Vladimir Putin, poi è diventato una comparsa nell’Amministrazione strettamente controllata dallo Studio ovale e ora sta cominciando a brillare di luce propria. Un documento strategico sui rapporti con la Russia svelato da BuzzFeed mostra che Tillerson ha libertà di manovra nel reimpostare le relazioni con la potenza che è al centro di tutte le preoccupazioni e le paranoie occidentali. Chi ha visto il report preparato da Tillerson dice che tiene un approccio pragmatico ed equilibrato per evitare che i rapporti che sono nel “canale di scolo” vadano a finire nella “fogna”. E’ questa l’immagine scelta da un funzionario del dipartimento di stato. La posizione del dipartimento di stato si regge su tre pilastri. Primo: chiarire che l’America non tollererà azioni russe che minacciano i loro interessi. Secondo: rafforzare le aree dove ci sono interessi comuni e fare pressione per allentare i rapporti con gli avversari. La tensione nei cieli siriani non aiuta la realizzazione di questo punto. Terzo: promuovere la “stabilità strategica”, un concetto flessibile che si adatta bene a un’Amministrazione che imposta le relazioni internazionali sulla base degli interessi, non degli ideali.
Una delle condizioni elencate dal segretario di stato per una collaborazione proficua è un deciso passo indietro della Russia nei confronti della Corea del nord. Il recente intensificarsi dei rapporti commerciali con Pyongyang è particolarmente sgradito a Washington, specialmente in un momento in cui la tensione è rinfocolata dal caso di Otto Warmbier, lo studente americano restituito dal regime in condizioni di salute disperate e morto poco dopo il suo rientro in America.
L’impostazione di Tillerson è lontana dal “reset” lanciato all’inizio del mandato di Barack Obama ma è anche diversa dalla posizione presa dall’Amministrazione precedente dopo la crisi in Ucraina, che metteva fra le priorità il consolidamento dei paesi dell’Europa dell’est per resistere alle tattiche aggressive della Russia. Dei rapporti con i paesi che chiedono protezione dal Cremlino il documento di Tillerson non parla nemmeno. La proposta di bilancio del dipartimento di stato presentata la settimana scorsa conferma il cambio di postura: l’America vuole tagliare con l’accetta i fondi destinati a tutti paesi nella sfera di influenza della Russia. “Cosa diciamo ai nostri amici in Georgia quando ci chiederanno perché abbiamo ridotto gli aiuti del 66 per cento”, ha chiesto il senatore Lindsey Graham, capofila dei falchi repubblicani. Impassibile, Tillerson ha risposto che lo scopo dei finanziamenti non è di dare assistenza a tempo indeterminato agli alleati americani. L’Amministrazione è più interessata a quello che succede nel sesto distretto della Georgia, nei sobborghi di Atlanta, che alla periferia di Tbilisi. La politica relativamente conciliante verso la Russia disegnata da Tillerson è l’interpretazione della scuola realista delle relazioni internazionali data da un ex petroliere abituato a giudicare gli affari a partire dal profitto. E segnala anche un cambio nelle gerarchie interne.
La Casa Bianca aveva inizialmente incaricato di scrivere il “framework” sulla Russia il capo della sezione europea del Consiglio per la sicurezza nazionale, Fiona Hill, ma a un certo punto della stesura il dossier è stato trasferito a Foggy Bottom. Nel frattempo ci sono stati diversi incontri a tema russo fra Tillerson e Trump, senza altri invitati.
Hill è un’esperta di Russia che ha un approccio critico e informato su Putin, sul quale ha scritto qualche anno fa un libro che è diventato una lettura imprescindibile per capire il presidente russo. A Washington il suo lavoro è stimato da democratici e repubblicani, e fra gli ammiratori c’è anche H.R. McMaster, il consigliere per la Sicurezza nazionale che l’ha portata nella sua squadra. Quando è stata nominata molti si sono chiesti come il suo profilo potesse combinarsi con la linea della Casa Bianca, e l’innalzamento del profilo di Tillerson sul dossier è una prima spiegazione. Questo spiega anche la decisione dell’Amministrazione di avere un desk unico per Europa e Russia al Consiglio, portfolio piuttosto vasto per un solo ufficio.
Sotto Obama, le responsabilità erano distinte – da una parte l’Europa, dall’altra la Russia – e a occuparsi della stesura della politica verso Mosca c’era Celeste Wallander, che oggi presiede la fondazione Stati Uniti-Russia. Era il Consiglio per la sicurezza nazionale, cioè la Casa Bianca, ad avere le mani sul volante della politica estera, scelta irrituale che è valsa al presidente molte critiche per un eccessivo accentramento delle funzioni. il dipartimento di stato di Hillary Clinton e John Kerry di rado aveva voce in capitolo sulla direzione politica, cosa messa in evidenza, per citare l’esempio più lampante, dal dibattito sulla Siria all’inizio della guerra civile. I falchi di Foggy Bottom sono rimasti inascoltati. L’attivismo di Tillerson è il segno che Trump sta restituendo peso al dipartimento di stato sui dossier più delicati, e lo sta togliendo al Consiglio di sicurezza, dove siedono le voci meno servili verso il presidente.