L'ultima speranza per la democrazia è una pasionaria chavista
La strana evoluzione di Luisa Ortega Díaz, la procuratrice generale che sfida il regime di Nicolás Maduro
Roma. Fu lei a far condannare Leopoldo López a 14 anni di carcere, in un processo il cui pubblico ministero scappò poi all’estero dicendo che le accuse erano state tutte fabbricate. E fu lei a dire che “l’uomo più umanista che sia mai esistito in questo pianeta si chiama Hugo Chávez”. Adesso è lei la Giovanna d’Arco della democrazia, per difendere la quale l’opposizione venezuelana ha convocato l’ultima grande manifestazione. La Giovanna d’Arco della democrazia è quasi la Giacomo Matteotti del Venezuela: il messaggio con cui Luisa Ortega Díaz ha risposto al procedimento aperto dal Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) per destituirla ha toni che a un cultore di storia italiana non possono non ricordare l’ultima requisitoria del leader socialista contro Mussolini. “Voglio che sappiate che così come hanno annullato il Parlamento, pretendono di annullare il potere morale, vogliono annullare qualunque dissidenza”. “Il Venezuela corre oggi il maggior pericolo della sua storia repubblicana, e vedo un oscuro panorama di distruzione dello stato in Venezuela”. “Una denuncia contro il Venezuela presso la Corte penale internazionale potrebbe misurarsi con precisione millimetrica. 74 morti, 1.413 feriti, 3.971 processati, 532 privati della libertà in 81 giorni di protesta”. Insomma, “in Venezuela oramai c’è uno stato del terrore”.
59 anni, avvocatessa, capelli biondi probabilmente ossigenati e occhialoni da studentessa secchiona che le conferiscono una vaga somiglianza con la presidentessa cilena Michelle Bachelet, Luisa Ortega Díaz è, dal 13 dicembre del 2007, Fiscal general de la República bolivariana de Venezuela: Procuratore generale, una specie di ministro della Giustizia, presidente del Consiglio superiore della magistratura e super-pm allo stesso tempo. Nel sistema della Costituzione chavista non è però parte né dell’esecutivo né del giudiziario ma di un autonomo “potere cittadino”. Una volta eletto dall’Assemblea Nazionale è inamovibile per i sette anni del suo mandato. Simpatizzante da giovane per un gruppo comunista che praticava la lotta armata, sposata a un ex guerrigliero che oggi è deputato chavista, già attiva in quei gruppi di avvocati in difesa dei detenuti politici del tipo che in Italia veniva definito del Soccorso rosso, Luisa Ortega fu voluta da Chávez in quell’incarico, e al funerale di Chávez stava in prima fila. Nel 2014 Maduro la fece confermare, e lei fu corresponsabile della feroce repressione che mandò in galera centinaia di persone. “In Venezuela non ci sono prigionieri politici!”, rispondeva stizzita alle denunce internazionali. Allineata e coperta col regime, dunque, fino al fulmine a ciel sereno del 31 marzo, quando definì a sorpresa “incostituzionali” le due sentenze con cui il Tribunale supremo di giustizia aveva annullato l’immunità parlamentare dei deputati dell’Assemblea Nazionale e avocato a sé i loro poteri legislativi. L’opposizione, che aveva convocato la protesta di piazza da allora non più interrotta, ne fu quasi più sbigottita di Maduro. Il presidente, che voleva risolvere l’impiccio di un’Assemblea Nazionale dove l’opposizione aveva conquistato un’ampia maggioranza, fu costretto a dissociarsi dal Tribunale, mentre in capo a 48 ore le due sentenze erano annullate. Salvo poi, per ottenere lo stesso scopo, inventarsi la convocazione di un’Assemblea costituente con modalità di elezione che assicurerebbero una maggioranza a lui favorevole.
Scarcerazioni quotidiane
Ma Luisa Ortega non si è più fermata. Prima ha dichiarato incostituzionale la convocazione di una Costituente senza un referendum preventivo. Poi ha iniziato a ordinare la scarcerazione dei manifestanti detenuti, costringendo Maduro a deferirli ai tribunali militari. Dopo ancora, quando il Tribunale supremo di giustizia le ha risposto che il suo ricorso anti-Costituente era inammissibile, ha addirittura dichiarato nulla a la votazione con cui nel 2015 erano stati insediati i 13 magistrati titolari e i 20 supplenti nell’intervallo tra la vittoria dell’opposizione alle politiche e l’insediamento della nuova Assemblea Nazionale, dichiarandoli decaduti.
Perché non è intervenuta contro i giudici del Tsj al momento del loro insediamento 18 mesi fa?, le hanno chiesto. “Allora non avevo le prove della loro illegittimità. Adesso le ho trovate. Non è stato facile accedere agli atti di quelle sessioni illegali”. E ha tirato fuori addirittura il documento con cui il Consiglio morale repubblicano doveva ratificare i requisiti per i candidati da nominare al Tribunale: mancanti due firme su quattro compresa la sua, peggio dei grillini a Palermo. A quel punto, mentre alcuni deputati chavisti chiedevano di sottoporla a perizia psichiatrica e il regime la tacciava di “traditrice”, il Tribunale ha fatto partire il procedimento per destituirla. Ma lei lo ha a sua volta dichiarato inammissibile, e dopo aver ordinato un’inchiesta sul denaro pubblico che il governo spenderebbe per foraggiare le manifestazioni in suo favore si è appellata al popolo. “Se fanno una cosa del genere a una procuratrice generale, che speranza potrà mai restare a un cittadino comune?”.
“Il Servizio bolivariano di intelligence (Sebin) sta minacciando i miei familiari”, ha pure denunciato. Ma lei risponde continuando a sparare frasi da libro di storia. “Il giorno in cui hanno distribuito la paura io non c’ero”. “Andrò avanti fino a dove mi permetteranno la Costituzione e la legge. Sono preparata a tutto: noi donne di stato ci assumiamo le nostre responsabilità”.
Se alcuni maduristi sospettano che sia andata fuori di testa, la stessa opposizione in realtà non ha troppo chiara questa evoluzione. Qualcuno spettegola su una sua irriducibile antipatia per Cilia Flores, la moglie di Maduro ed ex ministro degli Esteri (si è appena dimessa per candidarsi alla Costituente). Qualcuno parla di guerra per bande all’interno del chavismo. Qualcuno sospetta che stia cercando di ricostruirsi una verginità politica perché dentro fino al collo in affari sporchi del regime. Comunque, è diventata lei in questo momento la bandiera e l’arma più potente della estrema lotta per salvare il Venezuela dalla dittatura.