Airbag seppuku
Il più grande fallimento della storia industriale giapponese si chiude con una bancarotta
È considerato uno dei più grandi disastri del business giapponese. E, già dallo scorso anno, erano in molti a chiedere la testa di Shigehisa Takada, il cinquantunenne nipote del fondatore di una delle più importanti aziende di produzione di airbag per automobili. La compagnia, la Takada corp., prima del 2014 deteneva il venti per cento dell’intero mercato. Poi è arrivato lo scandalo degli airbag, e al sistema di gonfiaggio difettoso a cui sarebbero stati collegati almeno sedici morti e 180 feriti nel mondo. Mister Takada, che all’inizio dello scandalo da presidente si era dovuto trasformare pure in amministratore delegato – e questo perché il vero top manager dell’azienda, lo svizzero Stefan Stocker, era scappato per non essere travolto dallo scandalo – ieri si è presentato davanti ai giornalisti e ha detto che la sua azienda, l’azienda di famiglia, quella che il nonno fondò nel 1933 nella prefettura di Shiga e che era arrivata a lavorare in quattro continenti, è fallita. Un atteggiamento da samurai, tipico della cultura del business giapponese – altrove, magari in Europa, è difficile pensare a un ad che abbia il coraggio di mostrare il proprio fallimento alle telecamere. Ma per la Takada da tempo ormai non c’era più niente da fare.
L’incubo è iniziato nel 2004, in Alabama. Una persona alla guida di una Honda, modello Accord, morì in un incidente stradale. A ucciderla, però, non fu l’impatto, ma, tra le altre cose, alcuni frammenti metallici che provenivano dall’esplosione dell’airbag. Allora, quando la Honda domandò all’azienda produttrice del sistema cosa stesse succedendo, la Takada rispose che l’esplosione violenta era “un’anomalia isolata”.
Nel corso dell’anno successivo, il New York Times si incaricò di scoprire di più, e lo fece: Hiroko Tabuchi, business reporter, venne a conoscenza di un sistematico insabbiamento delle prove che conducevano alla responsabilità dell’azienda giapponese che produceva gli airbag. Gli incidenti avvenuti con le Honda tra il 2004 e il 2007, almeno quattro, furono gestiti dalla casa automobilistica con accordi extragiudiziali, ma quando le cose, anche dopo le indagini del New York Times, diventarono più serie, Honda iniziò a richiamare le automobili, e la Takada ogni volta dava una versione diversa dei motivi per i quali l’airbag, che viene installato in una macchina per renderla più sicura, in realtà era il motivo della morte dopo un incidente. Mentre il caso montava, e sempre più automobili erano costrette a essere richiamate (il caso Takada è il più grande richiamo di automobili della storia) sembra che alcuni cosiddetti whistleblower – ingegneri pentiti che dall’interno passavano informazioni ai media e ai procuratori – scoperti, avrebbero subìto parecchie ritorsioni all’interno dell’azienda. Soltanto all’inizio di quest’anno Shigehisa Takada ha ammesso di aver manipolato “per anni” i dati sul sistema di gonfiaggio dell’airbag, e lui, insieme con altri tre collaboratori, è stato condannato dalla Dipartimento di giustizia americano per frode, e al pagamento di una multa record di 1 miliardo di dollari.
Shigehisa Takada, come da tradizione giapponese, dopo aver resistito per tre anni alla guida di un’azienda al collasso, ieri è andato davanti ai microfoni e ha chinato il capo chiedendo scusa “per i danni causati, ai nostri clienti e ai nostri investitori”. La compagnia, sia in Giappone sia in America, sarà protetta dalla legge sulla bancarotta, ma nel frattempo il titolo è stato sospeso dalla Borsa di Tokyo e ne uscirà a fine luglio. Si parla di un debito complessivo dell’azienda pari a otto miliardi di euro, da dividere in cause di risarcimenti e rimborsi per le case automobilistiche che ancora aspettano di riavere i propri soldi indietro, come Honda, Nissan e Toyota.
Ma il dettaglio ancora più disastroso è un altro. La maggior parte delle attività della Takada sarà acquisito dalla Key Safety Systems (Kss), un produttore americano di componentistica controllato dalla cinese Ningbo Joyson Electronic, per 175 miliardi di yen (1,4 miliardi di euro). In pratica il più grande fallimento industriale della storia nipponica viene salvato da una compagnia cinese, e anche questo ha un significato.
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