Così l'Spd prova a rimettersi in marcia senza scansarsi dal centro
Schulz rincorre Merkel in vista del voto tedesco. Un esperto ci racconta la strategia (con un occhio alle sinistre europee)
Berlino. In Francia si sono disintegrati e parzialmente reintegrati nel partito République en Marche del presidente Macron. In Spagna, dopo un braccio di ferro al vertice, si sono buttati a sinistra, guardando verso Podemos. Lo stesso è successo in Gran Bretagna, dove l’arrivo di Jeremy Corbyn alla guida del Labour ha siglato la definitiva archiviazione del centrismo voluto anni fa da Tony Blair. Non è un bel momento per i socialisti europei: il trend è bigio anche nei paesi piccoli, come Grecia e Olanda, e in Italia non mancano le difficoltà del Pd di Matteo Renzi. Non va troppo male invece ai socialdemocratici tedeschi, la formazione politica più antica della Germania. Sia chiaro: sondaggi alla mano, l’Spd di Martin Schulz raccoglie un “misero” 24 per cento dei consensi; troppo poco per battere il 39 attribuito alla Cdu della cancellieria Angela Merkel, ma una cifra di tutto rispetto per i molto più abbacchiati omologhi francese, olandese o greco. A capire la specialità del caso Spd ci aiuta Björn Hacker, che la Spd la conosce molto bene. Prima di diventare docente di Economia politica all’Università di Scienze applicate di Berlino, Hacker ha lavorato come esperto di governance economica presso la Friedrich-Ebert-Stiftung, autorevole fondazione politica di area socialdemocratica. “A sinistra dei socialdemocratici una vera alternativa non c’è”, spiega Hacker facendo ricorso a una categoria negativa. In Germania, non c’è stato alcun travaso di voti verso un altro partito di sinistra come è accaduto in Francia o in Spagna. La Linke, il Partito socialcomunista erede del vecchio regime della Ddr, “è composto da anziani concentrati nelle regioni orientali ed è privo di attrattiva”. Non va poi dimenticato che si tratta di una formazione spaccata in due “fra chi vuole andare al governo con l’Spd e chi chiede invece di uscire dalla Nato”. La Linke non ha intercettato alcuno dei circa dieci milioni di voti lasciati per strada dai socialdemocratici negli ultimi tre lustri “per aver sostenuto le politiche neo liberali dell’ex cancelliere Gerard Schröder”. La crisi elettorale seguita all’aver tentato la “terza via” ha colpito un po’ tutte le famiglie socialdemocratiche dalla fine degli anni Novanta, “chi prima chi poi”, dice l’esperto. Lo spostamento di voti non è stato a senso unico: perché se Podemos è più a sinistra del Psoe, e Syriza lo è del Pasok, “è difficile dare etichette a En Marche! che per alcuni problemi propone soluzioni di tipo liberale e per altri dà risposte tipicamente socialdemocratiche”. Fra queste Hacker elenca la “partnership sociale”, ossia l’obiettivo di Macron di spostare il conflitto fra datori di lavoro e sindacati dai boulevard parigini alle sedi aziendali, trasformandolo in un dialogo nella migliore tradizione della socialdemocrazia renana.
A differenza di altre formazioni sorelle, l’Spd dimagrisce ma non sparisce. “Quel che conta”, riprende Hacker, “è la capacità di un partito di farsi interprete dei bisogni degli elettori”. Non ci sono riusciti né i socialisti del Pasok nella Grecia in bancarotta né i laburisti nella ricca Olanda. Sotto il profilo della sintonia con gli elettori, l’Spd sembra avere una marcia in più. “Da alcuni anni gli europei chiedono meno globalizzazione e più stato, meno mercato e più protezione”, osserva il docente. Il che è ciò che i socialdemocratici hanno dato ai tedeschi con la legge sul salario minimo e quella sulle pensioni più alte, mettendo da parte nell’ultima legislatura la questione della solidarietà europea. Il problema della Spd è semmai l’intramontabilità di Merkel, popolarissima leader cristianodemocratica di nome ma per molti cancelliera progressista di fatto, vedi alla voce abolizione del nucleare o politica di accoglienza ai profughi. Che sia quello di Merkel o quello di Schulz, si dice che in Germania a settembre sarà un partito socialdemocratico a vincere.