Donald Trump (foto LaPresse)

Trump e le "Very fake news"

Nel pasticcio della Cnn ci sono tutti gli ingredienti della faida Casa Bianca-media (e un signore furibondo)

New York. La parabola che ha portato la Cnn dall’errore all’ammenda contiene, in formula condensata, tutti gli elementi del circo mediatico-politico nell’epoca di Donald Trump. Ci sono le fake news e le agende politiche velate, la pressione bestiale degli ascolti e le tentazioni dell’attivismo, il culto pericoloso della fonte anonima che conferma i pregiudizi e il rischio, sempre in agguato, di macchiarsi delle colpe che si attribuiscono agli avversari. C’è anche la pratica sana di ammettere l’errore e prendere provvedimenti quando la magagna è troppo grossa per essere passata sotto silenzio. Non è poco in un momento in cui così non fan tutti.

 

I fatti, innanzitutto. La settimana scorsa la Cnn ha pubblicato sul suo sito un articolo secondo cui il dipartimento del Tesoro e la commissione intelligence del Senato stavano indagando i legami fra un fondo d’investimento russo e alcune persone legate a Trump. In particolare, sotto l’occhio degli inquirenti sarebbe finito un incontro fra un funzionario del fondo e Anthony Scaramucci, finanziere che al tempo – cioè prima dell’insediamento di Trump – era parte del transition team. Si trattava, insomma, di un ghiottissimo boccone per affamati di impeachment con contorno di insalata russa. L’articolo, come è stato chiarito poi, non stava in piedi, il che non significa necessariamente che i contenuti non fossero veri, ma era stato realizzato secondo standard giornalistici di molto inferiori a quelli fissati dal network. Tutte le informazioni di un articolo che in condizioni normali sarebbe stato esplosivo arrivavano da una singola fonte anonima e nemmeno qualificata in modo preciso. I primi a sentire puzza di bruciato sono stati quelli di Breitbart, mastini trumpiani che di norma bollano tutto ciò che la Cnn dice su Trump come “fake news”, ma in questo caso c’era anche qualcosa di più: il network, infatti, stava violando le sue stesse regole. La reazione al presunto scoop è iniziata sotto il titolo: “Another day, another very fake news story from the network President Donald Trump has identified as ‘very fake news’”. Qui occorre ricordare una distinzione che talvolta rischia di svanire, perché non tutte le fake news sono uguali.

 

Ci sono le fake news letterali, notizie false su un giro di prostituzione gestito dalla famiglia Clinton nel retrobottega di una pizzeria di Washington e altre bufale prodotte e disseminate a scopo di propaganda, e poi ci sono le fake news metaforiche, quelle di cui Trump twitta ossessivamente, che altro non sono che il “bias” che sempre occhieggia in un mestiere che si muove nell’ambito della manipolazione, non in quello dei fatti puri e neutrali. “Very fake news”, invece, è un puro prodotto della mente di Trump, e l’etichetta è riservata di solito proprio alla Cnn. L’articolo della Cnn che poi è stato ritirato afferisce al secondo tipo, anche se in questo caso il network ha passato il segno. L’articolo, infatti, non ha seguito l’iter editoriale che normalmente Cnn impone a tutti i contenuti, non ha passato la fase di fact-checking e non è nemmeno stato rivisto dal responsabile del team investigativo, Lex Haris, che in quei giorni era disgraziatamente a una conferenza a Phoenix. Quando il bubbone è scoppiato, Cnn è intervenuta con provvedimenti durissimi. Ritiro immediato dell’inchiesta, scuse, licenziamento immediato di Haris, dell’autore dell’articolo, Thomas Frank, e dell’editor responsabile del pezzo, Eric Lichtblau. Martedì mattina, mentre Trump preparava su Twitter un baccanale per celebrare la vittoria, il presidente della Cnn, Jeff Zucker, ha preso la parola nella riunione mattutina per cercare di tranquillizzare tutti. Dicono che non ci sia riuscito, ché le misure prese in questo caso sono apparse eccessive a molti nella redazione.

 

C’è un motivo per cui questa volta non si è concluso tutto con qualche richiamo e un’ammenda, ma sono saltate teste. La Cnn di recente è incappata in una serie di incidenti notevoli, tutti sullo sfondo dell’avversione contro il presidente. La comica Kathy Griffin è stata licenziata dopo aver posato per un servizio fotografico con una maschera sanguinante di Trump in mano; un articolo che prevedeva erroneamente i contenuti della deposizione di James Comey, ex direttore dell’Fbi, è stato corretto quando si è scoperto che la testimonianza scritta di Comey diceva tutt’altro (Eric Lichtblau era uno degli autori); Reza Aslan è stato cacciato, e il suo show “Believer” cancellato, quando ha scritto su Twitter che Trump è “un pezzo di merda”. La tolleranza era finita.

 

Questi episodi hanno violato la regola tassativa imposta da Zucker: quando si tratta di Trump, bisogna ridurre a zero gli errori. Mettere sotto pressione la Casa Bianca si deve, aggredire con veemenza si può, ma per farlo il presidente del network esige l’accuratezza e la precisione formale che contesta agli avversari asserviti della destra (un anchorman della Cnn ha detto che Fox News è “infomercial”), altrimenti si finisce per essere vulnerabili. E infatti la controcampagna di Trump e dei suoi, con il figlio Donald Jr. che invita Zucker a dare una spiegazione dell’accaduto davanti alle telecamere invece di continuare a fare le pulci sui briefing televisivi della Casa Bianca, è stata efficace nel rinvigorire un popolo di ultras che aveva proprio bisogno di uno scivolone del nemico per ringalluzzirsi. Le richieste di Zucker sono dettate anche dagli ascolti, e nessuno conosce il potenziale televisivo di Trump meglio dell’uomo che, quand’era alla presidenza della Nbc, ha messo sotto contratto il tycoon d’avanspettacolo per “The Apprentice”. Qualche mese fa il magazine del New York Times ha pubblicato un’inchiesta intitolata: “La Cnn aveva un problema. Trump l’ha risolto”. Il problema, però, rischia di riproporsi se troppi episodi come quelli che Zucker non ha gradito affatto si ripeteranno ancora. L’apparizione di un video in cui un editor della Cnn ammette che la storia della collusione fra Trump e la Russia è “per lo più una stronzata” e che la rete martella senza posa su quel filone soltanto per gli ascolti, non ha aiutato.

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