In difesa della casta
Lezione anti moralista del direttore di Libération, da un paese dove la cultura politica ha retto alle campagne no casta
Laurent Joffrin è il direttore di Libération e ogni mattina invia una nota ai suoi lettori per fare un punto a inizio giornata. Nella nota di ieri Joffrin parla della casta, dell’articolo 68 defunto della nostra Costituzione che invece ha vita sgargiante in Francia, dei modi di lavorare dei deputati nella difesa dell’autonomia del potere legislativo da pressioni di altri poteri. Scrive Joffrin: “François De Rugy, nuovo presidente dell’Assemblea nazionale, intende riformare le regole che organizzano la vita parlamentare e il lavoro degli eletti. Bene: c’è molto da fare in materia e l’immagine degli eletti si è talmente degradata nel tempo a causa degli scandali che non è possibile restare inerti. Razionalizzazione, moralizzazione, eliminazione dei privilegi dei parlamentari, sono cose buone e giuste. Dobbiamo tuttavia confessare un disagio: questa messa sotto accusa sistematica della rappresentazione nazionale sta facendo tornare alla luce rigurgiti inquietanti. Stamattina, su France Inter (la principale radio francese ndr), de Rugy rispondeva agli ascoltatori in materia. Ascoltando gli interventi, sembrava che i cittadini-ascoltatori considerassero i deputati come un vasto club di corrotti e arroganti che bisognerebbe braccare senza pietà. Nessuno contesta che ci siano delle pecore nere, deputati assenti, indolenti o remunerati in maniera dubbia da terzi. E’ un buon motivo per domandare l’abbattimento dell’intero gregge? ”. Continua Joffrin: “Ricordiamo qualche verità: se i deputati beneficiano di un’immunità giudiziaria, parziale, che un voto può ritirare, è per evitare che l’esecutivo, come succedeva in altri tempi, possa fare pressione su di loro utilizzando mezzi di polizia poco trasparenti. Si dirà che queste pratiche non esistono più. Certo. Ma chi può giurare che un ministro dell’Interno manovratore e un po’ cinico non userà mai contro un avversario l’autorità che esercita sui poliziotti, per esempio nel favorire l’apertura di un’inchiesta preliminare causando un grande imbarazzo all’interessato (che sia o meno colpevole) per la pubblicità che ne deriverebbe?”.
Da vent’anni, ricorda Jauffrin, i meccanismi di controllo sono stati regolarmente rinforzati, rendendo gli abusi sempre più rischiosi. “Un solo esempio: la creazione di una ‘Alta autorità della trasparenza’ dopo l’affaire Cahuzac e l’obbligatorietà delle dichiarazioni dei redditi sono all’origine di due scandali spettacolari che hanno brutalmente perturbato la carriera degli interessati. Parlo dell’affaire Thévenoud e dell’affaire Fillon. Contrariamente all’idea spesso dominante, la moralizzazione non ha mai cessato di progredire. Non è illogico in democrazia fornire agli eletti i mezzi per lavorare correttamente e per disporre di un reddito comparabile a quello di un quadro superiore. E’ il caso della maggior parte delle democrazie (si confronti lo status dei senatori americani). Si tratta sia di favorire la qualità del lavoro legislativo sia, dando prova di realismo, di limitare le tentazioni della corruzione, che aumenterebbero molto se il reddito dei parlamentari fosse troppo basso”. Conclude il direttore di Libération, in quella che potrebbe apparire come una lettera immaginaria all’Italia da un paese dove la cultura politica democratica ha retto alle campagne anticasta. “Questo non elimina in alcun modo la necessità di chiarire e rinforzare le regole applicate agli eletti. Ma lo stato d’animo sommariamente inquisitore che si sente montare nel dibattito pubblico, e che risparmia spesso il settore privato, ha un nome nella politica francese: il poujadismo”.