Brexit, soft Brexit o Retrobrexit. Cosa vuole l'Italia da Londra
L’ipotesi che il Regno Unito faccia marcia indietro sull’uscita dall’Unione europea non appare più come il chimerico auspicio di qualche sognatore europeista
Bruxelles. Tra ministri di Theresa May che si scontrano pubblicamente su quale Brexit fare sgomitando per la possibile successione a Downing Street e i deputati ribelli Labour che votano per restare nel mercato interno contestando la linea ufficiale di Jeremy Corbyn, l’ipotesi che il Regno Unito faccia marcia indietro sull’uscita dall’Unione europea non appare più come il chimerico auspicio di qualche sognatore europeista. “You may say I’m a dreamer, but I’m not the only one”, aveva detto la scorsa settimana il presidente del Consiglio europeo, Donald Tusk, citando Imagine di John Lennon. Bruxelles si attende un cambio di direzione verso una Brexit più soft, in particolare se Philip Hammond succederà a May nei prossimi mesi. Ma “a Londra, fuori dalla Camera dei Comuni, si discute sempre più di Retrobrexit”, conferma una fonte europea. Il caos politico emerso alle ultime elezioni, il rallentamento dell’economia, l’inflazione, i salari reali al ribasso e la necessità di conservare forza lavoro europea potrebbero far tornare alla ragionevolezza l’opinione pubblica e, di conseguenza, una parte consistente della classe politica. “Siamo stati delusi e rattristati dalla decisione del Regno Unito di lasciare l’Ue” e “ovviamente è una decisione da rispettare”, ma “sarebbe da rispettare anche una dinamica diversa, nuova, per tanti versi auspicabile come riscossa europeista”, dice al Foglio Marco Piantini, lo sherpa per la Brexit del presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni.
Al Vertice europeo della scorsa settimana, la Retrobrexit era sulla bocca di molti leader, pronti a tenere aperta la porta se Londra trovasse un modo democratico di smentire il referendum. Il premier lussemburghese, Xavier Bettel, è perfino disponibile a lasciare al Regno Unito lo sconto al bilancio comunitario strappato da Margaret Thatcher. In teoria basterebbe una lettera del governo britannico per revocare la notifica dell’articolo 50 del Trattato. Ma, se ogni giorno che passa rende la Retrobrexit più appetibile a Londra, il fattore tempo lo rende più difficile a Bruxelles. “C’è la questione del calendario” dell’Ue a 27, spiega Piantini: il problema “non sono solo i due anni dell’articolo 50”, ma “il rinnovo delle istituzioni” (Parlamento e Commissione saranno eletti nel 2019) e “il negoziato sul quadro finanziario multi-annuale” (i 27 devono trovare un accordo entro 2 anni per colmare il buco da 11 miliardi l’anno lasciato dalla Brexit). “Sono scadenze purtroppo ravvicinate”, dice Piantini: ci si deve preparare “ben prima del 2019” e è fondamentale sapere se “il Regno Unito è fuori o dentro le istituzioni comuni e i loro processi decisionali”. Anche i tempi dell’economia potrebbero essere troppo lenti. Secondo un funzionario europeo, “il potere d’acquisto e la dinamica salariale saranno negativi nei prossima due anni”, ma è difficile dire se questo “potrà avere uno sbocco politico per rovesciare la Brexit”.
Brexit o Retrobrexit, in molti a Bruxelles e nelle capitali dei 27 si rendono conto che c’è l’opportunità di sfruttare il caos politico per incoraggiare il Regno Unito a staccarsi il meno possibile dall’Ue. Il negoziato sarà complicatissimo e vanno “cercate soluzioni insieme: si vince se non perde nessuno”, spiega Piantini. Il documento britannico sui diritti dei cittadini Ue residenti nel Regno Unito – che il May ha definito “generoso” e il capo-negoziatore Ue, Michel Barnier, giudica al di sotto delle aspettative – agli occhi dell’Italia è “un segnale di buona volontà”. Ma anche Roma ha i suoi rilievi, tanto più visto il numero di italiani che vivono nel Regno Unito. In un tour londinese, Piantini ha riscontrato “forti preoccupazioni, ad esempio nella comunità scientifica, per definizione legata alla mobilità, sulle certezze in termini di futuro”. L’Italia ha anche posto la “questione del diritto di voto dei cittadini comunitari alle comunali”, rivela Piantini. “Nel paper britannico questo non è esplicitato”, ma mantenere il diritto di voto sarebbe “un segnale di dove si vuole andare”. Non troppo lontano dall’Ue.