Lo staff di Trump trema per l'incontro con Putin "senza un'agenda"
Il presidente cerca una linea per affrontare il compagno nel grande "bromance" geopolitico. La contestata dottrina Tillerson. La mediazione di Kissinger
New York. Il dato più allarmante in vista dell’incontro fra Donald Trump e Vladimir Putin lo ha sintetizzato H.R. McMaster, il consigliere per la Sicurezza nazionale, annunciando il meeting: “Non c’è un’agenda specifica. Dipenderà da quello che il presidente avrà voglia di discutere”. L’ultima volta che il presidente si è trovato faccia a faccia con funzionari russi senza un’agenda specifica in mente ha finito per rivelare informazioni classificate raccolte dall’intelligence israeliana e ha confessato che il licenziamento di James Comey lo aveva finalmente sollevato dalla pressione per l’inchiesta sui rapporti con il Cremlino. Come molto spesso capita, non c’era stato briefing o incontro strategico che aveva potuto contenere l’esuberanza del presidente una volta iniziato lo show diplomatico. Lo staff della Casa Bianca trema pensando all’effetto che l’approccio trumpiano potrebbe produrre nell’incontro con Putin della settimana prossima, uno strapuntino a margine del G20 di Amburgo. Com’è noto, Trump ha promesso a lungo di rammendare e portare su lidi amichevoli i rapporti con il Cremlino, poi alcune manovre aggressive dell’Amministrazione contro il regime di Bashar el Assad (i missili lanciati su una base per punire l’attacco chimico di Idlib, l’aereo del regime abbattuto, le minacce preventive per un altro eventuale attacco chimico) e i rimproveri dei funzionari dell’Amministrazione sulle interferenze nel processo elettorale americano e sull’occupazione in Ucraina hanno raffreddato le relazioni. Il “bromance” fra Trump e Putin che dalle cronache politiche americane appare sempre solido si è manifestato fin qui con due sole telefonate.
Fra i due interlocutori c’è una differenza d’impostazione che non sfugge ai consiglieri della Casa Bianca, che stanno tentando di dare una forma politica a questo incontro a margine. Trump ha fatto dell’assenza di un’agenda un metodo, vive di improvvisazioni e trovate da “artista del deal”; Putin è cresciuto alla scuola del Kgb, non si presenta mai impreparato. L’unica linea chiara sulla Russia articolata fin qui dall’Amministrazione è contenuta in un documento scritto dal segretario di stato, Rex Tillerson, che delinea i passi per aprire una fase di collaborazione con Mosca. Un punto centrale della linea Tillerson è l’abbandono, da parte degli Stati Uniti, delle iniziative per stabilizzare i paesi dell’Europa dell’est, dove il verbo “stabilizzare” a Mosca viene tradotto con “trascinare verso occidente”. Si dice che Tillerson, che conosce le dinamiche del Cremlino e ha un rapporto personale con Putin da quando era amministratore delegato di Exxon, abbia soffiato il dossier dalla scrivania di Fiona Hill, rispettata cremlinologa del Consiglio di sicurezza nazionale e voce critica verso il regime. Tillerson però non sta vivendo il suo momento di massimo splendore in termini di influenza, e non passa giorno senza che il segretario si scontri con funzionari della Casa Bianca, del Pentagono e del Consiglio di sicurezza nazionale su pressoché qualunque argomento. Chi nell’Amministrazione davvero sia incaricato di dettare la linea sulla Russia è il primo aspetto del problema in vista dell’incontro con Putin; il secondo aspetto è chi abbia la capacità di catturare l’attenzione del presidente, il superpotere che tutti vorrebbero in questa Amministrazione immersa nella distrazione: “Credo che in questo momento i nostri due paesi abbiano la possibilità e la responsabilità di fare progressi significativi”, ha detto Henry Kissinger, che ieri ha incontrato Putin a Mosca. Il Cremlino ha detto che l’ex segretario di stato, che Trump di tanto in tanto consulta, non stava facendo da mediatore per conto della Casa Bianca. La sua era una visita di cortesia a margine di una conferenza in Russia. Ad Amburgo si presenta un leader senza una linea chiara. La politica sulla Cina è un esempio di come le direttive sulla politica estera cambiano in fretta. La campagna elettorale durissima contro Pechino si è risolta con un’iniziale luna di miele con Xi Jinping, che è valsa a Trump anche una reprimenda pubblica da parte di Chuck Schumer, il capo dei senatori democratici, che lo ha accusato di essere troppo tenero con Pechino. Ora il vento è cambiato di nuovo. Le sanzioni a persone e aziende coinvolte con il commercio di armi con la Corea del nord, la commessa militare con Taiwan e le dichiarazioni sul dissidente Liu Xiaobo hanno riavvolto il nastro delle relazioni.
L'editoriale dell'elefantino