Equilibrismo e ambizioni di Philippe, il premier scrittore "nell'inferno" di Matignon
Perché la posizione del primo ministro francese è diversa da quella dei suoi predecessori. Dovrà fare i conti con l’onnipresenza del presidente, ma ha un grande spazio politico
Roma. Il primo ministro è uno dei ruoli più ingrati del sistema politico francese. Nominato dal presidente della Repubblica con uno dei primi atti politici del mandato, non ha alcuna legittimazione popolare. E’ però il capo della maggioranza parlamentare, cui è legato dal rapporto di fiducia. Da uomo incaricato di mettere in pratica il pensiero del presidente, ha i compiti più delicati: deve portare avanti la politica del governo, rispondere alle interrogazioni parlamentari, occuparsi dei contrasti tra i ministri. Un lavoro nell’ombra che ha logorato tutti o quasi. Con la comunicazione presidenziale che sottolinea il ritorno alle radici della V repubblica, al “président jupitérien”, la posizione di Édouard Philippe è tuttavia diversa da quella dei suoi predecessori, stretto com’è nell’ambiguità macronista; deve fare i conti con l’onnipresenza del presidente, ma ha un grande spazio politico. Emmanuel Macron non parla se non in occasioni solenni, non risponde alle domande dei giornalisti, è al di sopra delle parti; eppure c’è sempre, occupa le copertine dei giornali, le riflessioni degli editorialisti, le aperture dei telegiornali.
Quest’ambiguità è stata coltivata fino alla decisione di sdoppiare il primo discorso ufficiale del mandato: Macron ieri ha riunito il Parlamento a Versailles, in congresso, per una specie di discorso sullo stato dell’Unione; Philippe si esprimerà oggi di fronte alle Camere, per presentare il programma politico su cui chiederà la fiducia. Édouard Philippe è, secondo la felice definizione di Mediapart, l’emisfero destro di Macron. Altro che collaboratore, com’era Fillon per Sarkozy: il volto delle riforme per parlare all’elettorato gollista, intrigato ma non ancora sedotto da Macron, pur sempre ex ministro di un governo socialista. “Un uomo di destra” a Matignon, come ha chiarito Philippe durante il passaggio di consegne. Sconosciuto alla maggioranza del paese, il premier è diventato abbastanza popolare in questo primo mese di presidenza. Una scelta, quella di collaborare con Macron, “assolutamente naturale”, spiega al Foglio Charles Hufnagel, suo amico e nominato direttore della comunicazione a Matignon. Tutta la sua carriera politica è stata condotta cercando di conciliare destra e sinistra, un insegnamento dovuto al suo mentore Alain Juppé, fondatore del grande partito di destra Ump all’inizio degli anni 2000, del quale Philippe è stato nominato direttore generale a soli 32 anni.
La scelta di rispondere alla chiamata di Macron è stata dunque naturale e coerente con il passato juppeista. Con il sindaco di Bordeaux le somiglianze sono “evidenti” secondo Hufnagel, “il progetto di Emmanuel Macron è estremamente vicino a quello di Alain Juppé, non solo dal punto di vista del programma ma anche dal punto di vista dei valori e del modo di rivolgersi ai francesi”. Un costruttivo scelto anche per la sua capacità di dialogare con l’elettorato di sinistra rivendicando di essere un uomo di destra. Posizione speculare a quella di Macron. E se il presidente è uno scrittore mancato, con un grande romanzo epistolare sull’età precolombiana rimasto nel cassetto, il primo ministro scrive e pubblica. Ha già scritto due libri con l’amico Gilles Boyer, ha creato il festival letterario di Le Havre, da sindaco, e domani uscirà la sua nuova fatica, “Des hommes qui lisent”, una raccolta di tutte le letture personali che hanno avuto un impatto importante nella sua formazione. Uno scrittore al Palais de Matignon, descritto proprio da Philippe, nel suo “L’heure de vérité”, come un “inferno”, non solo per il ritmo forsennato imposto dagli impegni istituzionali, ma soprattutto per il rischio di non lasciare traccia: “La tradizione vuole che ogni primo ministro vi pianti un albero. Per molti è, con il ritratto che figura nel gran libro del primo piano del palazzo, la sola traccia visibile che resterà del loro passaggio in questi luoghi”. Difficile che Philippe voglia semplicemente piantare un albero: è giovane, ambizioso, farà di tutto per portare a casa le riforme. Da Parigi assicurano che il dualismo non c’è. E’ vero, per ora.