Non ci siete solo voi neoeuropeisti liberali. E Varsavia accoglie Trump
L’endorsement all’atlantismo dei polacchi è chiaro, ma questa volta c’è qualcosa di più, e ha molto a che fare con l’Europa, anzi in particolare con l’Europa occidentale
Roma. Questa sera Donald Trump arriva a Varsavia per la visita che apre il suo tour europeo in vista del G20 di Amburgo, venerdì. Il governo polacco è orgoglioso dell’onore riservato dal presidente americano, ha garantito all’ospite un pubblico nutrito che altri capitali europee non saprebbero offrire (i pullman dalle campagne sono già in viaggio, alcuni gruppi legati al Partito di governo, il Pis, coprono il costo del viaggio) e una location storica per tenere un discorso che gli sherpa definiscono “importante”: Trump “celebrerà il coraggio del popolo polacco e l’ascesa della Polonia a potenza europea”, ha anticipato il consigliere per la Sicurezza nazionale, il generale McMaster. Prima della visita in Francia (prevista per il 14 luglio) o nel Regno Unito (prevista in autunno ma non c’è certezza, gli inglesi che ormai sono in rissa permanente su tutto si azzannano anche sull’invito a Trump: in Parlamento c’è già una petizione pronta di boicottaggio e di indignazione), Trump arriva così in Polonia, come già fece nel 2001 George W. Bush. L’endorsement all’atlantismo dei polacchi è chiaro, ma questa volta c’è qualcosa di più, e ha molto a che fare con l’Europa, anzi in particolare con l’Europa occidentale. Secondo un’indagine del Pew Research, il 23 per cento dei polacchi confida nella capacità di Trump di “fare buone cose in politica internazionale”: non si tratta di una percentuale molto elevata, in Russia è al 53 per cento per dire, ma in Germania è pari all’11 per cento (nel Regno Unito al 22 e in Italia al 25). E’ nella disaffezione tedesca per quest’America trumpiana che s’infila la predilezione del presidente americano per una performance in Polonia.
A parte la questione russa che tormenta le coscienze del governo polacco (non da oggi naturalmente, ma l’andamento ondivago di Washington con il Cremlino non può essere preso con troppa leggerezza da queste parti), il premier Beata Szydlo e ancor più il padre-padrone della Polonia odierna, Jarosław Kaczyński, trovano molte vicinanze con la retorica trumpiana sul nazionalismo, il recupero di sovranità, l’antieuropeismo e l’anti immigrazione. E il tempismo non potrebbe essere migliore per stringere l’alleanza: la questione immigrazione sta togliendo i primi veli al neoeuropeismo di stampo macronian-merkeliano, ché se la cancelliera tedesca Angela Merkel ha dato un seguito concreto al suo “ce la possiamo fare” che ha sancito la stagione dell’accoglienza, Emmanuel Macron parla di solidarietà ma nicchia (eufemismo) sulla riforma del trattato di Dublino e sulla gestione collettiva e collaborativa dei migranti economici. Mentre si apre questa frattura, che è lì da tempo ma ora si confida nell’effetto taumaturgico della Macronmania e le speranze di curare qualsiasi cosa è alta, Trump arriva a dare il suo appoggio alla Polonia che, all’indomani dell’attentato di Manchester, si è scagliata contro “l’utopia delle porte aperte” propagandata dall’Unione europea (per la cronaca: l’attentatore di Manchester era nato proprio in città, nel 1994). La Polonia poi è un alleato leale della Nato, dedica il 2 per cento del suo pil all’Alleanza come vogliono le regole e come pretende Trump, e ha accolto cinquemila soldati americani sul suo suolo in ottica di un rafforzamento dell’alleanza dei confini est dell’Europa. Una conferma esplicita dell’articolo 5 della Nato – che prevede una reazione dell’Alleanza se uno stato membro viene attaccato – sarebbe il massimo per Varsavia, ma per il momento basta rivendere l’arrivo di Trump come un successo preventivo, l’isolazionismo polacco è un mito, dicono i diplomatici del governo, è che il mondo non procede soltanto come vorrebbero le istituzioni europee o “il diktat tedesco”: c’è un’alternativa ai “valori liberali” del duo Merkel-Macron, dice Varsavia accogliendo Trump, ed un pochino più autoritaria e un pochino più ripiegata su se stessa, soprattutto poco europeista.