Gli ultimi cento, paradossali giorni di Maduro in Venezuela
Dall'assalto all'Assemblea nazionale, alla liberazione di Leopoldo López, passando per la presunta mediazione Trump-Putin, fino all'assurdo caso di Luisa Ortega
In Venezuela la protesta dell'opposizione contro il governo di Maduro è arrivata domenica al centesimo giorno. “Guarimba” è stata chiamata, come un popolare gioco infantile, un “tana libera tutti” costato finora 93 morti, 431 detenuti politici, migliaia di feriti. Due chiari segnali di debolezza del regime hanno segnato questo anniversario. Da una parte, è stato trasferito dal carcere agli arresti domiciliari Leopoldo López, prigioniero politico simbolo. Sulla decisione le autorità hanno dato ben cinque motivazioni diverse, a riprova della situazione di caos in cui versa il paese. Il Tribunale Supremo di Giustizia (Tsj) ha parlato di “motivi di salute”; Maduro ha detto che era stata una decisione sua; il Defensor del Pueblo, Tarek William Saab, ha spiegato che i domiciliari sono stati decisi “non per ragioni di salute”, ma su richiesta della moglie di López; per il ministro della Difesa, Vladimir Padrino López, è stato per favorire la pacificazione del paese. Per il ministro della Comunicazione e dell'Informazione, la decisione intende garantire “la governabilità e il cruciale processo costituente in corso”.
L'opposizione legge invece il provvedimento come una concessione ormai inevitabile dopo l'assalto delle squadracce maduriste all'Assemblea nazionale lo scorso 28 giugno, un gesto condannato in tutto il mondo. La mediazione decisiva è stata dell'ex primo ministro spagnolo José Luis Zapatero, ma a Caracas si pensa che sia stata fondamentale la pressione esercitata dal G20, e forse anche l'incontro tra Donald Trump e Vladimir Putin. Per smentire questa voce, oggi Maduro ha fatto sapere che Putin gli aveva telefonato, manifestando appoggio al suo “coraggio” nel “mantenere la stabilità e la pace” e nell’affrontare “le manovre che dall’estero si stanno organizzando contro il Venezuela”. Ma subito, dal Cremlino, è arrivato un altro comunicato per chiarire che i due presidenti avevano solo parlato dei progetti di cooperazione in corso. Sì, Putin avrebbe ascoltato quel che Maduro gli diceva sulla situazione del Venezuela, ma senza fare alcun commento, e meno che mai dando all’interlocutore incoraggiamenti o approvazione. Insomma, una quasi smentita.
All'invito di Maduro di mostrarsi grato adoperandosi per la fine delle proteste, peraltro, López ha risposto proclamando che “la lotta continua”. Altro evento rivelatore del logoramento del regime, la tragicomica vicenda di Katherine Haringhton, viceprocuratore generale che Maduro ha fatto nominare dal Tsj, con l'intento di sostituire la ribelle Luisa Ortega. Giovedì, Ortega si è presentata alla procura, ma i dipendenti non l'hanno fatta entrare. Venerdì è rivenuta accompagnata dal agenti del temuto Servizio di intelligence bolivariano (Sebin), minacciando: “Se non mi aprite, vi faccio arrestare”. Niente da fare. Infine è entrata, nascosta nel bagagliaio di un'auto. Ma quando l'hanno vista aggirarsi per gli uffici l'hanno presa e buttata fuori. Nel frattempo si insediava invece tranquillamente nel suo ufficio Rafael González, l'altro viceprocuratore designato con l'accordo trovato tra Luisa Ortega e l'Assemblea nazionale.
Mentre i venezuelani ancora ridono, il fronte delle opposizione ha annunciato l'agenda della settimana. Lunedì, nuovo “Trancazo” (blocco) dalle 12 alle 14. Martedì e mercoledì, assemblee popolari di organizzazione dei Comitati di riscatto della democrazia. Giovedì, nuova grande mobilitazione nazionale. Venerdì, giuramento dei comitati. Sabato, fine della campagna per la Consulta sovrana. Domenica, “tutti a votare per la Consulta sovrana”, che chiederà alle forze armate di destituire Maduro per impedire la sua “Costituente incostituzionale”.