La Tangentopoli in Brasile mangia Lula: 9 anni e mezzo in primo grado
E’, in assoluto, la prima volta che un ex presidente della Repubblica in Brasile è condannato per corruzione
Roma. Mentre tutta l’attenzione dei media in Brasile era concentrata sulla situazione giudiziaria sempre più grave del presidente Michel Temer, è arrivata improvvisa la notizia che il giudice Sérgio Moro, il capo inquisitore dell’inchiesta Lava Jato che sta sconquassando la politica brasiliana, ha inflitto all’ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva una condanna a nove anni e sei mesi di carcere. Capi di accusa: i reati di corruzione passiva e riciclaggio di denaro per il caso del “triplex” di Guarujá, vale a dire l’ormai famigerata casa al mare che secondo Moro sarebbe stata data all’ex presidente dalla società edilizia Oas a titolo di tangente in cambio dell’assegnazione di appalti della società petrolifera di stato Petrobras. Secondo l’accusa Lula avrebbe ricevuto dalla Oas anche altri “vantaggi indebiti”, come la ristrutturazione e l’arredamento del “triplex” e il pagamento del deposito per custodire i suoi beni dopo aver lasciato la presidenza. In tutto, la mazzetta ammonterebbe a 1,2 milioni di dollari.
“Non ho mai avuto l’intenzione di acquistare il triplex. Non l’ho sollecitato, non l’ho ricevuto e neanche l’ho pagato”, aveva detto Lula a Moro lo scorso 10 maggio. L’ex presidente della Oas, Leo Pinheiro, dopo aver concordato un accordo di delazione premiata che Moro ha ripreso dall’esperienza della Tangentopoli italiana, ha però testimoniato che era stato Lula a chiedergli di non mettere l’immobile a suo nome almeno fino a quando non si fossero calmate le acque e di distruggere tutte le prove che lo ricollegavano al triplex. In seguito a questa testimonianza Moro aveva chiesto per Lula la carcerazione preventiva, dicendo che la sua permanenza in libertà rischiava di compromettere il lavoro d’indagine.
E’, in assoluto, la prima volta che un ex presidente della Repubblica in Brasile è condannato per corruzione. Per il momento, la sentenza è di primo grado. Lula non andrà dunque in carcere, e neanche gli sarà impedito formalmente di candidarsi per le prossime elezioni presidenziali. Secondo tutti i sondaggi, l’ex presidente ha altissime probabilità di essere rieletto. Gli elettori “petisti” (da Pt, il Partito dei lavoratori di Lula) considerano la guerra giudiziaria di Moro al loro leader come persecuzione politica.
Nel caso di una condanna in appello prima della data del voto, tuttavia, Lula è fuori dai giochi: la scadenza è a fine ottobre del 2018, e Moro sta dimostrando di essere in grado di fare le cose in fretta. Secondo la cosiddetta lei da ficha-limpa, legge della tabula rasa, in Brasile si possono candidare gli imputati condannati da un tribunale monocratico, ma non i condannati da un tribunale collegiale come la Corte d’Appello. Questa sentenza arriva dopo poco più di un anno di indagini, e su Lula pendono altre quattro inchieste. Inoltre, se la sentenza in appello dovesse prevedere una pena carceraria superiore agli otto anni Lula dovrà davvero entrare in prigione, e sarà un altro primato della storia brasiliana.
Lula potrebbe insistere e decidere di candidarsi ugualmente. A quel punto, sorgerebbe il problema di quel che accadrebbe dopo la sua eventuale elezione. Nella migliore delle ipotesi, la sentenza d’appello arriverebbe solo qualche mese dopo il suo insediamento, e a quel punto il Brasile si troverebbe ad affrontare un nuovo trauma presidenziale dopo la destituzione di Dilma Rousseff – senza contare che negli ultimi giorni è data come sempre più probabile anche la destituzione di Michel Temer. L’attuale presidente è comunque preso a dare battaglia e, prima della condanna di Lula, era riuscito a far approvare una fondamentale riforma per rendere più flessibile il mercato del lavoro.
Ricevuta la notizia della sua condanna, l’ex presidente ha subito fatto sapere che ricorrerà in appello, prima ancora che lo potessero dichiarare i suoi difensori.