Perché Erdogan mente quando dice di non avere bisogno dell'Ue
Il presidente ripete che la Turchia può reggersi sulle sue gambe. Ma intanto recluta Nicole Kidman e Samuel Eto’o, senza badare a spese pur di attirare investimenti nel paese
Il presidente turco ha saltato a lungo ma non è arrivato all’uva. Recep Tayyip Erdogan, vecchia volpe amareggiata che non riesce a cogliere i grappoli dell’ingresso della Turchia nell’Ue, ora fa l’indifferente: “L’Unione europea non è indispensabile per noi, siamo tranquilli” e se Bruxelles dovesse interrompere il processo di adesione di Ankara “ne saremo confortati”, ha dichiarato a Bbc.
Ma davvero alla Turchia “non interessa più l’Ue”? Non si tratta solo di un problema diplomatico ma anche economico. Buona parte del successo di Erdogan si deve alla sua capacità di portare un paese dai 4.586 dollari di pil pro capite nel 2003, quando è stato eletto primo ministro, al picco dei 10.800 dollari del 2013. E nonostante l’aumento delle relazioni con i partner del Golfo, la Turchia rimane dipendente dall’occidente per gli investimenti diretti esteri (Ide): secondo i dati della Banca centrale, l’85 per cento degli investimenti nel 2016 è venuto dall’Ue, da altri paesi europei e dagli Stati Uniti. Solo il 15 per cento dall’Asia, di cui il 7 per cento dai paesi del Golfo. Ma secondo i dati del ministero dell’Economia, gli Ide nel 2016 sono diminuiti del 31 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015. E nel 2016 gli investimenti di provenienza europea sono scesi del 46,3 per cento, attentandosi a 3 miliardi e 766 milioni di dollari. Il comparto in maggiore sofferenza è quello turistico, con almeno il 30 per cento di introiti persi fra il 2015 e il 2016.
La Repubblica turca ha in programma di “raggiungere quota 500 miliardi di dollari di export” entro il 2023, per il centenario della sua fondazione, spiega il sito “Turkey. Discover the Power”, trovata del Ministero dell'Economia e delle dell'Assemblea esportatori turchi (TIM), per rappresentare l'industria turca ad alti livelli in mercati stranieri e dare una riverniciata all’immagine del paese all’estero. Un’operazione di brand-identity iniziata nel 2014 – che Erdogan suggerì di chiamare “Discover the Power”.
“Turkey is changing” dice, in una pubblicità a lungo rilanciata da Sky, il Ceo di Yandex, società IT che possiede il più grande motore di ricerca in Russia. Alla squadra si sono uniti Vodafone, Toyota, Samsung, Novartis, con capitani d’eccezione a fare da testimonial: Eto’o (attaccante dell'Antalyaspor) e Sneijder (centrocampista del Galatasaray). E oggi, chi compra il quotidiano “Il Giornale”, trova dodici pagine di inserto pubblicitario made in Ankara – con una Nicole Kidman a fare da madrina in prima pagina. Una gigantesca operazione di marketing che stride con l’ipotesi di indifferenza propagandata da Erdogan.
La Turchia è una delle storie di successo dell’economia globale: la diciassettesima economia del mondo “punta a diventare la decima entro il 2023”, sostiene Discover the Power . Le sue “performance a partire dagli anni 2000 sono state impressionanti”, ricorda la Banca mondiale: “Stabilità macroeconomica e finanziaria al centro delle sue prestazioni, hanno consentito maggiore occupazione e redditi più alti e ne hanno fatto un paese a reddito medio-alto. L'incidenza della povertà è stata dimezzata tra il 2002 e il 2012, e la povertà estrema è scesa ancora più velocemente”.
“Gli sviluppi dal 2012 in poi”, aggiunge tuttavia l’organizzazione di Washington, “sollevano preoccupazioni. La crescita è rallentata, il reddito pro capite è rimasto fermo a circa 9.000 dollari l’anno e la disoccupazione è in aumento. La crescita lenta in Europa e un ambiente geopolitico deteriorato nelle sue vicinanze hanno avuto un impatto negativo sulle esportazioni, gli investimenti e la crescita”. A mettere in fila queste cifre, appare evidente come le sparate del presidente Erdogan contro l’Ue siano più che altro a uso e consumo interno. Il nazionalismo anatolico, che il presidente ha sempre solleticato e con cui si è dovuto alleare apertamente prima del referendum costituzionale di aprile, ha bisogno anche di questo. Ma la Turchia ha bisogno dell’Europa più di quanto Ankara sia disposta a dichiarare. L’uva è lontana, ma fa ancora gola.
La nuova Commissione