Il voto dell'Unesco su Hebron riscrive la storia così come la vuole l'islam
Perché gran parte del mondo mediatico-culturale italiano sorvola sulla deriva antistorica e antisemita dell’Unesco? Quella di Israele non è solo una semplice battaglia geopolitica
"Scambiereste le Tombe dei Patriarchi con le Mura della Serenissima?”. La domanda è un filino provocatoria, ma la risposta, evidentemente, deve essere un sì. Altrimenti, come spiegare il fatto che gran parte del mondo mediatico-culturale italiano (ministro Franceschini in testa) sorvoli sulla deriva antistorica e antisemita dell’Unesco, per celebrare invece con tanta enfasi l’iscrizione di un nuovo sito del Bel Paese nel Patrimonio Mondiale dell’Umanità?
Un grande successo, ci viene detto, che dimostra (parole del ministro) “il ruolo notevole dell’Italia nella diplomazia culturale”. Ma davvero serve una così grande abilità diplomatica perché l’Unesco aggiunga ogni tanto un nostro sito alla sua lista? E soprattutto: se abbiamo davvero un ruolo diplomatico così notevole, perché non provare a esercitarlo nel tentativo, non più rinviabile, di ricondurre l’Unesco al rispetto dei suoi valori fondanti?
Che senso ha battersi per inserire nuovi siti nella lista di una istituzione che rinnega il concetto stesso di patrimonio culturale mondiale (concetto intrinsecamente pluralista e laicamente fondato sul valore della storia come ricerca) e si fa strumento delle mire egemoniche di una tradizione culturale sulle altre?
Perché di questo si tratta. Questa è la vera posta in gioco nel conflitto di memorie in corso dentro l’Unesco: al di là della battaglia, combattuta a colpi sempre più bassi, per la delegittimazione politica di Israele (che già di per sé dovrebbe suscitare una controffensiva compatta di tutte il mondo libero), è in atto un gigantesco Kulturkampf di segno islamista. Una battaglia culturale che punta a riscrivere la storia, anzi il modo stesso di scrivere la storia. Sostituendo alle particolari e umanissime verità storiche – concrete quanto fragili, e sempre soggetto al dubbio, alla critica, alla ricerca – le universali e divine “verità della fede”, astratte quanto inconfutabili ed eterne. In questa battaglia, nessuno, tanto meno l’Italia e l’Europa, può illudersi di poter restare alla finestra per il solo fatto di “non essere Israele” – o meglio per aver dimenticato di essere, in virtù delle proprie radici culturali, anche Israele.
Il voto su Hebron è emblematico della posta in gioco. Dire che le Tombe dei Patriarchi e delle Matriarche di Israele non abbiano legami... con Israele (!) è un controsenso sul piano logico, prima ancora che storico. Eppure, l’Unesco lo ha detto: quello “non è un sito ebraico”, recita la risoluzione di Cracovia. Forse gli stati che hanno approvato questa risoluzione credevano di appoggiare “semplicemente” una aberrazione propagandistica contro Israele. In realtà, hanno dato l’ennesimo avallo (come già su Gerusalemme) a un’operazione culturale di portata, questa sì, mondiale: la riscrittura della storia dell’umanità sulla base delle esegesi tradizionali del Corano.
In questa visione, che resta maggioritaria nel mondo islamico al di là delle tante divergenze politiche e/o dottrinali che lo attraversano, l’islam non è semplicemente una religione storica costituitasi nella penisola araba a partire dal VII secolo e.v. in rapporto dialettico di continuità e di rottura con le altre religioni monoteistiche, ma è la religione. L’unica religione da sempre rivelata da Dio agli esseri umani (sin da Adamo ed Eva). L’unica religione predicata, nelle più varie epoche e alle più diverse latitudini, da tutti i Profeti – inclusi i Profeti di Israele – fino a Muhammad.
In questa visione, tutti i Profeti sono musulmani, anche se poi le loro comunità hanno “deviato” costituendo tradizioni religiose che sono solo un riflesso imperfetto del messaggio originale. Per questo, la Bibbia e i Vangeli sono visti come versioni alterate (nella forma e/o nell’interpretazione) di quella Rivelazione che il Corano invece presenta nella sua forma pura ed originaria. Muhammad, quindi, non sviluppa l’eredità dell’ebraismo e del cristianesimo in una forma religiosa nuova, ma restaura la religione perfetta per tutta l’umanità. L’islam, in realtà, non riconosce Abramo, Mosè, Gesù o le altre grandi figure delle tradizioni ebraiche e cristiane: se ne appropria, rappresentandole tutte come Profeti dell’islam. In quest’ottica, e solo in quest’ottica, diventa “logico” sostenere che le Tombe dei Patriarchi e delle Matriarche non siano un sito ebraico, perché quei Patriarchi e quelle Matriarche sono in realtà musulmani. Quindi, un sito sorto millenni prima della nascita storica dell’islam, diventa un sito musulmano. Ed è precisamente in quest’ottica che si è mossa l’Unesco.
Se una simile chiave di lettura sembrasse incredibile, o dettata da spirito non equanime nei confronti della controparte, segnaliamo che proprio questa è l’interpretazione orgogliosamente rivendicata da una protagonista della battaglia: la ministra palestinese Rula Maaya ha dichiarato che la risoluzione dell’Unesco “conferma l’identità dei Patriarchi”. Ovvero, l’Unesco si è assunta il compito di stabilire che i Patriarchi di Israele erano musulmani!
In questa linea, una prossima risoluzione potrebbe stabilire, ad esempio, che la chiesa della Natività a Betlemme – o magari la Santa Casa di Loreto – “non sono siti cristiani”. Perché Gesù è un Profeta dell’islam, e la Madonna (Maryam) è una santa (siddiqa) musulmana.
Non una semplice battaglia geopolitica, dunque, ma teologico-epistemologica. E’ la fede – o una certa visione di una certa fede – che fagocita la scienza, utilizzando a questo fine, paradossalmente, anche il residuo prestigio delle istituzioni scientifiche internazionali. L’obiettivo non è “soltanto” la fine di Israele, ma la fine della Storia – e delle scienze storiche – come patrimonio plurale dell’umanità. In questo (come già in altri) Kulturkampf, l’odio contro Israele è il primo fronte di una guerra globale al pluralismo, al pensiero laico, alla libertà di tutti e di tutte.
Speriamo che la gravità del pericolo accenda un barlume di riflessione tra i distratti e gli indifferenti. Magari persino tra alcuni odiatori di Israele. Ma soprattutto, che possa risvegliare le coscienze di tanti dei suoi troppo timidi amici.
Giuseppe Cecere, Professore associato di Lingua e Letteratura araba, Università di Bologna