La versione di Pompeo sui rapporti Stati Uniti-Mosca
Il capo della Cia parla del medio oriente e dice: “La Russia ama tormentarci”. (Intanto s’è dimesso Spicer)
Milano. Mi avete chiesto della Russia già 19 volte, prometto che rispondo anche la ventesima, ha detto mezzo divertito mezzo esausto Mike Pompeo, direttore della Cia, all’incontro di giovedì con il columnist del New York Times Bret Stephens all’Aspen Security Forum in Colorado. La Russia, sempre la Russia, non si parla d’altro nell’America trumpiana, mentre la Casa Bianca avanza nel suo modo incerto: il presidente ha cambiato il team legale, s’è informato sulla possibilità di una grazia per i suoi familiari e per se stesso, ha nominato un altro direttore delle comunicazioni, Anthony Scaramucci, che ha determinato le dimissioni del portavoce, Sean Spicer, e la nomina al suo posto di Sarah Huckabee Sanders (per gli appassionati dell’arte di decifrare chi sale e chi scende nel cuore di Trump: pessimo giorno per il team Bannon, buono per il team Ivanka). Sulla Russia, e ancor più sul ruolo della Russia nel mondo, Pompeo è stato chiaro, anche se ha evitato di rispondere alle domande sulla sospensione del programma della Cia di sostegno ai ribelli anti Assad – una decisione che ai russi piace parecchio. “La Russia ama tormentarci”, ha detto Pompeo, “scherzo un po’, ma credo che i russi cerchino ogni modo possibile per renderci la vita più complicata”. Restano ambiti di collaborazione, ha detto il capo della Cia, ma certo è che i russi non abbiano intenzione di lasciare la Siria.
L’intelligence americana stabilisce con certezza la volontà di Mosca di non lasciare la Siria, non rinuncerà “a un porto navale sulle acque tiepide” del Mediterraneo, ha detto Pompeo. L’intervento russo ha cambiato “grandemente il contesto” della guerra in Siria, e “l’America fa molta fatica a esercitare la propria influenza” in quell’area: la presenza russa non è d’aiuto. In particolare ora che lo Stato islamico è indebolito – anche se la minaccia islamista “resterà ancora molto a lungo”, ribadisce il capo della Cia – e inizia la fase in cui ogni paese coinvolto vuole avere la propria parte nella gestione dei territori liberati. Senza l’illusione di una lotta comune contro il terrorismo jihadista, che ha fatto da debole collante tra la coalizione occidentale e quella russo-iraniano-siriana, gli interessi divergenti diventano ancora più chiari e più pericolosi. Pompeo ha sottolineato il ruolo dell’Iran, che ha “una presenza strategica in Siria”, cui non rinuncerà tanto quanto la Russia: serve a creare un corridoio di influenza fino all’Iraq, per realizzare il sogno della Repubblica islamica di essere “il fulcro” della regione. Il capo della Cia, storicamente contrario all’apertura all’Iran e al deal sul nucleare, dice che la Repubblica islamica si comporta come “un cattivo inquilino”: “Non paga l’affitto, poi manda un assegno, ma non basta, e ne manda un altro. E il giorno dopo c’è un vecchio divano davanti a casa, e tu dici di toglierlo, e lo sai che verrà soltanto spostato sul retro. Questa è la disciplina iraniana: riluttante, minimale, temporanea”.
Pompeo ha anche affrontato la questione nordcoreana, aprendo all’ipotesi di un cambiamento di regime come premessa al disarmo, poi un po’ corretta nel corso del discorso, ma sulla Russia ha anche affrontato il tema che tiene occupata l’America da mesi: c’è stata un’ingerenza nelle elezioni? Pompeo dice che sì, “certo che c’è stata, ma non è la prima volta, è accaduto anche la volta prima e quella prima ancora”. E’ un modo di fare, insomma, e l’accusa non è piaciuta affatto a Mosca: il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, ha detto che le parole del capo della Cia riflettono il “doppio standard americano” e, ammettendo tra l’altro che ci sono stati “più” incontri tra Trump e il presidente russo Vladimir Putin, ha aggiunto: gli americani hanno in Siria tante basi militari, “non le pubblicizzano molto”, ma sono operative. “Noi siamo stati invitati dal governo di Damasco”, da Bashar el Assad, gli americani no: è il loro intervento illegale.