Macri spezza il tabù peronista e si lancia contro i sindacati
Da mesi gli imprenditori si lamentano con il primo presidente non peronista d’Argentina dopo Raùl Alfonsìn del potere di ricatto che i sindacati continuano, dicono loro, a esercitare sul governo
Roma. Il presidente argentino Mauricio Macri scatenato contro i sindacati e le cause di lavoro: “Basta con la mafia degli avvocati e i giudici che lasciano ogni giorno gente senza lavoro”. Una bestemmia nella Buenos Aires eternamente post peronista dove i gruppi sindacali sono 6.400, costituiscono la rete più capillare esistente, dotati di controllo minuzioso del territorio, ciascuno con relativa organizzazione, sistema previdenziale di riferimento e preziosi uomini raccatta voti. Da mesi gli imprenditori si lamentano con il primo presidente non peronista d’Argentina dopo Raùl Alfonsìn (che però era radicale) del potere di ricatto che i sindacati continuano, dicono loro, a esercitare sul governo, nonostante alla Casa Rosada sieda un presidente di destra liberal detestato dai sindacati. E Macri li ha accontentati, per ora, con una dichiarazione di guerra alle cause di lavoro in corso in Argentina, una ogni cinque lavoratori, 185 mila iniziate nel 2016 solo a Buenos Aires e aumentate del 20 per cento rispetto all’anno precedente. Il dato è l’ovvia conseguenza dell’ondata di licenziamenti dovuta alle ristrutturazioni avviate nel pubblico e nel privato. Macri ha messo mano alla crisi economica senza i “metodi keynesiani” rivendicati dal governo Kirchner, che in molti casi si sono rivelati trucchi da illusionisti di cui, a un certo punto, s’è palesato il conto.
Tramontata l’era spendi-denaro-pubblico-che-ti-passa e, soprattutto, passata l’ubriacatura dei posti di impiego pubblico distribuiti a piene mani da Nestor Kirchner prima e da Cristina Kirchner poi (33 mila licenziamenti nel settore statale solo nei primi sei mesi di governo Macri) è arrivata prima la fine del cambio fisso (cioè irreale) della moneta nazionale con il dollaro, poi la fine dei sussidi pubblici al consumo di luce, gas, acqua e tariffe del trasporto con aumenti tra il 300 e il 500 per cento e l’inflazione più alta degli ultimi 15 anni. Gli imprenditori temono ora di pagare molto cari i licenziamenti perché è molto difficile a Buenos Aires che una causa di lavoro contro un’azienda non si concluda in favore del lavoratore. Colpa della cultura peronista e della mole di leggi ideologicamente schierate dalla parte del lavoratore ereditate dal generale Peròn, dicono gli imprenditori. Colpa dell’ideologia di sfruttamento che permea la cultura d’impresa argentina e che è diventata legge prima con il regime militare poi negli anni 90 con la presidenza di Carlos Menem, dicono i sindacati. Fatto sta che il riacutizzarsi dell’eterno conflitto, stavolta con il presidente nella veste dell’ammazza sindacati, sta portando alla ribalta la legge brasiliana su flessibilità del lavoro e revisione del sistema pensionistico la cui discussione ha messo a ferro e fuoco Brasilia. Non c’è giorno che tv e giornali non esaminino la legge proposta dal barcollante governo di Michel Temer in Brasile. Ogni passaggio è discusso e osservato a Buenos Aires con l’attenzione e la rissa tra parti opposte solitamente riservati solo al grande classico Boca-River. Difficile sarà per Macri fare sue quelle proposte, se vuol essere rieletto. “Flexibilidad laboral” è un’espressione impronunciabile in Argentina. Evoca oceaniche manifestazioni contrarie, scioperi a oltranza e, soprattutto, “cortes de ruta” quotidiani, quelle interruzioni delle strade del paese in cui i sindacati argentini sono professionisti. Per impedirle, l’esperienza dimostra che serve solo la contrattazione politica. A meno di voler mandare tutti i giorni in strada la polizia, che non è mai una buona idea a Buenos Aires. I sindacati, anche quando difendono l’indifendibile, ossia la loro rendita di posizione, possono contare sul rosario della retorica peronista, l’intramontabile repertorio sulla sacralità di un sistema a difesa dei lavoratori che, è questo il loro principale argomento, “tutto il mondo considera un esempio”. E se l’argomento è falso, non saranno le piazze piene di persone prossime al licenziamento a lamentarsene.