Erdogan sogna un'invasione musulmana a Gerusalemme
“Venite a proteggere tutti insieme la mosche di al Aqsa”. Perché il presidente turco minaccia di far deragliare le relazioni con Israele dopo tanta fatica per riconciliare le parti
Non si può mai essere sicuri di quello che passa per la mente di Recep Tayyip Erdogan quando sbotta contro Israele. Ma ci sono alcuni capisaldi che ritornano con insistenza. “Vorrei lanciare un appello a tutti i miei concittadini e i musulmani del mondo intero, affinché tutti quelli che hanno i mezzi economici si rechino in visita a Gerusalemme alla moschea di al Aqsa”, ha detto ieri il presidente della Turchia entrando così duramente nella questione degli scontri intorno al Monte del Tempio, che hanno causato morti e violenze. “Venite a proteggere tutti insieme Gerusalemme”.
L’8 maggio scorso, in un forum a Istanbul per promuovere lo sviluppo economico in Palestina, il presidente turco ha criticato Israele per le pratiche “razziste e discriminatorie” nei confronti dei palestinesi. Erdogan ha aggiunto che “l'unica soluzione” è “l'istituzione di uno stato palestinese totalmente sovrano e indipendente secondo i confini del 1967”. E anche allora ha invitato i musulmani del mondo a recarsi a Gerusalemme per impedirne “la giudeizzazione”.
Da poco più di un anno i rapporti tra Ankara e Tel Aviv erano tornati a distendersi, dopo il violento scontro seguito al raid israeliano contro la "Gaza Freedom Flotilla" del 31 maggio 2010 nel quale morirono nove attivisti turchi. Nella spedizione faceva parte anche una delegazione del partito della Grande unità (Bbp), fuoriuscito dall’Mhp, formazione ultranazionalista che oggi appoggia Erodgan e al quale il presidente deve in buona parte la risicata vittoria al referendum costituzionale del 15 aprile scorso. Erano dell'ala giovanile del Bbp i ragazzi che si fecero fotografare mentre, davanti a un fast food, puntavano una pistola alla testa di un Babbo Natale e anche quelli che giovedì scorso hanno assaltato, con pietre e bastoni, la sinagoga Neve Shalom a Istanbul. “Se ci togliete la libertà di culto laggiù, noi ve la togliamo qui”, recitava il volantino letto dal leader del gruppo, Kursat Mican. Il presidente turco ha stigmatizzato gli attacchi contro le sinagoghe: “E’ un errore rispondere ad un'ingiustizia con un’altra”, ha detto, ma pochi giorni dopo lui stesso si è lanciato contro Israele, con la chiamata all’adunata musulmana su Gerusalemme.
Ma perché Erdogan minaccia di far deragliare le relazioni turco-israeliane dopo che ha impiegato così tanto tempo e fatica per conciliare le due parti nel giugno 2016? Si possono immaginare almeno due scenari. L’improvviso cambio di tono verso Israele potrebbe essere ad uso interno e servire a mobilitare il pubblico attorno alla questione palestinese. Anche se il referendum presidenziale è finito, il governo agisce ancora come se fosse in campagna elettorale e deve tenere il piede premuto sul pedale dell’islamismo e del nazionalismo – unici veri collanti di una coalizione incerta. Le tensioni crescenti, sia sul fronte israeliano che su quello europeo, con le sfuriate contro la Germania, potrebbero essere una strategia per mobilitare il sostegno nazionale. Altri analisti invece sostengono che la Turchia voglia mantenere e ampliare il suo ruolo nelle dinamiche mediorientali nel momento in cui la guerra civile in Siria si avvicina a una soluzione.
Quando domenica scorsa Erdogan ha attaccato Israele per aver messo in piedi misure di sicurezza straordinarie a Gerusalemme, ha invitato Tel Aviv a osservare i "valori fondamentali dei diritti umani". Qualcuno avrebbe dovuto ricordare che dopo il fallito golpe dello scorso anno la Turchia ha deciso di sospendere la propria adesione alla Convenzione europea sui diritti umani. Che la repressione contro i partiti di opposizione, contro il giornalismo indipendente, contro gli studiosi e le minoranze non avviene in Israele. Ma è all’ordine del giorno tra i confini anatolici. Sarebbe stato opportuno tirare fuori i rapporti delle Nazioni Unite che hanno denunciato la morte di circa duemila persone nella regione sudorientale della Turchia da luglio 2015 a dicembre 2016 e le gravi violazioni di diritti umani nel corso delle operazioni governative di sicurezza nella zona. Nei documenti si fa riferimento anche a 500 mila sfollati soprattutto di etnia curda. Colpa di Israele?