Il "doppio gioco" di Duda sulla riforma della giustizia in Polonia
Il presidente blocca le leggi sul Consiglio Nazionale del Giudiziario e sulla Corte Suprema, ma fa passare quella che dà al ministro della Giustizia la possibilità di nominare i magistrati delle Corti Regionali e di quelle d’Appello
È curiosa la soddisfazione dei media europei quando si è saputo che il presidente polacco Andrzej Duda aveva posto il veto a due delle tre leggi che avevano provocato proteste di piazza, la minaccia della Commissione Europea di sospendere il voto della Polonia e perfino le critiche del Dipartimento di Stato americano. In realtà, l'unica delle tre leggi che è stata firmata è proprio quella che assegna al ministro della Giustizia la nomina dei magistrati delle Corti Regionali e di quelle d’Appello, finora designati da quella Krajowa Rada Sądownictwa (Consiglio Nazionale del Giudiziario, Krs) che è l’omologo polacco del nostro Csm.
Respinta, invece, quella che modificava la composizione dello stesso Krs, portando da 6 a 21 su 25 la quota di suoi componenti eletta dalle Camere. Dunque, il Krs resta invariato, ma con poteri drasticamente ridotti. L’altra riforma cassata riguarda la Corte Suprema, equivalente della nostra Corte di Cassazione. L'obiettivo era di mantenere la nomina a vita del Presidente imponendo le dimissioni ai membri attuali in modo da rinnovare l’organico.
Secondo l’opposizione e secondo l’Ue, si trattava di una manovra per asservire il potere giudiziario all’esecutivo. Secondo il governo e il partito Diritto e Giustizia di una riforma necessaria per “ripulire” il sistema dai troppi “comunisti” che lì ancora si allignano. Nell’annunciare in tv il suo veto Duda ha ribadito che “le riforme della Giustizia sono necessarie” ma “bisogna evitare che provochino uno scontro nella società e una divisione nel Paese”. Una mossa che ha sicuramente preso in contropiede la Commissione Europea, che aveva già avviato la procedura di infrazione ed era pronta a ricorrere all’“opzione nucleare” dell’articolo 7 del Trattato che prevede la sospensione del diritto di voto. Spiazzata anche l’opposizione, che al momento non sa se dirsi soddisfatta o no. E ovviamente stupito è lo stesso partito di Duda, a partire dal premier Beata Szydło e dal “padre padrone” Jarosław Kaczyński.
Il futuro di Duda. Classe 1972, avvocato, cattolicissimo, orgoglioso di essere stato boy-scout e anche di aver avuto un nonno in quei cavalleggeri che caricarono i carri armati tedeschi, Andrzej Duda è sposato con Agata Kornhauser: professoressa di tedesco e figlia di un noto letterato di origine ebraica. Esponente rampante del partito nazional-cattolico e euroscettico Diritto e Giustizia, in precedenza era stato però iscritto all’Unione Liberale. Eletto presidente nel 2015, in un primo momento ha lavorato in totale sintonia con Kaczyński. Poi, a sorpresa, nell’aprile del 2016 commemorando il sesto anniversario del disastro aereo di Smolensk in cui era morto l’allora presidente Lech Kaczyński (gemello di Jarosław), si appellò all'unità nazionale non citando minimamente la tesi sul “complotto liberale” da sempre sostenuta dal presidente del partito. Nel luglio 2016 un altro “sgarro” quando, durante il vertice Nato di Varsavia, si dimenticò di citare il numero uno di Diritto e Giustizia tra gli organizzatori del summit. Ora le leggi bocciate. Una decisione che sembra confermare la tesi secondo cui Duda stia preparando il terreno per il suo futuro politico. “Rottamando” la vecchia guardia.
L'editoriale dell'elefantino