La Casa Bianca sono io
Anthony Scaramucci è un riflesso dell’ego di Trump, presidente che vuole soltanto specchi in cui rimirarsi
New York. Nel debutto sui talk-show domenicali come direttore della comunicazione della Casa Bianca, Anthony Scaramucci ha parlato a un’audience composta da un solo spettatore, contemporaneamente input e output del messaggio dell’amministrazione. Lo scopo principale della ricognizione televisiva non era articolare un messaggio politico per conto del presidente, ma giurare pubblicamente fedeltà a Donald Trump dopo il terremoto interno che ha fatto saltare il portavoce, Sean Spicer. A un certo punto Scaramucci si è rivolto esplicitamente al presidente che religiosamente seguiva la performance dalla Casa Bianca, e si è scusato per avere dubitato, in passato delle sue qualità politiche. Lo aveva definito un “candidato dilettante”, aveva sostenuto con laute donazioni Scott Walker e addirittura Jeb Bush, il candidato “low energy”, in un severo editoriale alla vigilia delle primarie aveva denunciato la “sbrigliata demagogia” che ha portato “il Partito repubblicano a un punto morto dal quale non c’è ritorno”. Ora dice che quell’articolo non parlava di Trump ma della demagogia in generale, e comunque non è arrivato il momento di mettersi i dissapori alle spalle e remare nella stessa direzione?
Scaramucci ha usato le prime apparizioni pubbliche per fare la sua professione di fede dopo tante contraddizioni e ripensamenti. Trump capisce bene gli sbalzi d’umore e i continui cambi di casacca, sono parte della sua dotazione genetica, filtrata attraverso l’educazione neyorchese. Il primo dato politico dell’elevazione di Scaramucci a discapito di Spicer e della filiera di potere al quale era legato è la vittoria dell’ala newyorchese dell’amministrazione, plotone eterogeneo che si muove fra Goldman Sachs e i reality show ed è unito dal sommo disprezzo per la logica clientelare del potere di Washington. Il gruppo del newyorchesi, capitanato idealmente da Jared Kushner, è l’avamposto dell’esercito che dovrebbe prosciugare la palude del potere e che invece nei primi sei mesi di governo è stato a sua volta prosciugato. Il trasformismo politico è la cifra di questo gruppo, ma fra un passaggio e l’altro i suoi rappresentanti sono in grado di garantire massima fedeltà. L’ideale per un presidente che non cerca operatori politici che diano solidità e coerenza al suo imprevedibile fluire, ma vuole consiglieri che sappiano adattarsi e assecondare le sue voglie. Finora ha spazzato via o ha tagliato fuori dai processi decisionali tutti quelli che si illudevano di poter modellare la personalità del presidente e hanno violato la famosa massima “let Trump be Trump”.
Scaramucci la “fotocopia” di Trump
L’ultimo che ha messo a rischio la sua posizione è Jeff Sessions, il procuratore generale che sembrava legato a Trump da un sodalizio indissolubile, e invece ricusandosi – con ottime ragioni – dall’inchiesta sulla collusione con la Russia ha dimostrato di giudicare la legge e le consuetudini dettata dal buonsenso più importanti della fedeltà al capo. Trump ha espresso pubblicamente il suo disappunto con l’ex senatore dell’Alabama, e ora si parla di una clamorosa sostituzione in corsa con Rudy Giuliani. Eventualità improbabile, ma Trump è il dominatore del regno dell’improbabile. Il punto fermo in tutte le fluttuazioni è che Trump cerca specchi in cui rimirarsi, non consiglieri da cui farsi guidare. Scaramucci è l’alter ego trumpiano definitivo. Cresciuto a Lond Island in una famiglia della middle class, si è fatto largo nel mondo della finanza con una letale combinazione di talento e sfrontatezza da scugnizzo italoamericano, è rimbalzato da Harvard a Goldman Sachs, dove è diventato un protetto dell’attuale segretario del Tesoro, Steve Mnuchin. Lo chiamano “The Mooch”, lo scroccone, per la sua innato talento nel salto sui carri altrui. E’ nel mondo della televisione che ha trovato la sua consacrazione. Le sue tirate contro il populismo anti Wall Street su Cnbc sono diventate proverbiali e quando l’amministrazione Obama faceva la sua campagna contro i bonus dei banchieri, lui ha guidato la controrivoluzione da Las Vegas, con convegni e iniziative per rappresentare gli interessi della categoria. Ha accusato Obama di percuotere le banche come una “piñata”, la pentolaccia messicana, noncurante del fatto che pochi mesi prima di mettersi alla testa dei banchieri e degli hedge fund manager era stato a sua volta un finanziatore della campagna di Obama. Lo hanno definito “il primo impresario di Wall Street”, un “P.T. Barnum con la cravatta di Ferragamo”, uno che vive sovraesposto in un settore dominato da nomi per lo più sconosciuti al grande pubblico. Se sembra uscito dal set di “Wall Street” è perché è effettivamente stato una comparsa nel sequel del capolavoro di Oliver Stone. La figura di Gordon Gekko compare anche nel titolo di uno dei suoi tre libri, in cui spiega “come fare fortuna senza perdere l’anima”. In un capitolo esalta il valore della lettura e l’importanza dei libri, deprecando la riduzione della comunicazione odierna a un flusso incostante di tweet. Niente male per il capo della comunicazione di un presidente che probabilmente non ha nemmeno letto i libri che ha scritto e guida la più grande potenza del mondo su twitter.
Scaramucci è un riflesso dell’ego trumpiano. Lo avrebbe voluto al suo fianco subito dopo le elezioni, ma una complicata questione di conflitti di interessi e la resistenza di Reince Priebus e dell’apparato del Gop ha rimandato la nomina. Spicer si è dimesso perché, nonostante le accuse di essere una marionetta pronta a ripetere ogni menzogna per coprire il presidente, non è un membro naturale del club newyorchese dei Trump e degli Scaramucci. La sua storia è radicata nelle strutture del Partito repubblicano, e alla Casa Bianca c’è arrivato assieme al capo di gabinetto, quel Priebus che è stato completamente tagliato fuori nel processo che ha portato Scaramucci a un ruolo cruciale alla Casa Bianca. Trump gli ha tirato l’ennesima pugnalata specificando nel comunicato sull’avvicendamento che Scaramucci “risponderà direttamente la presidente”.
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