Il neoeuropeismo a trazione franco-tedesca sogna di nuovo un suo jet
Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno annunciato un accordo per lo sviluppo di un “sistema di combattimento aereo europeo”. La scelta di chi costruisce cosa e dove non è banale
Roma. Il 13 luglio, dopo il tradizionale consiglio dei Ministri franco-tedesco, Angela Merkel ed Emmanuel Macron hanno annunciato un accordo per lo sviluppo di un “sistema di combattimento aereo europeo” pensato per “rimpiazzare nel lungo termine gli attuali aerei da combattimento”. Oggi i due paesi utilizzano già degli aerei di progettazione europea, ma di produzione distinta: la Francia ha a disposizione i Rafale e i Mirage, entrambi fabbricati dalla francese Dassault; la Germania gli Eurofighter e i Tornado, costruiti da due differenti consorzi europei. L’annuncio rappresenta un nuovo tentativo di cooperazione nel settore dell’industria aeronautica tra i due paesi dopo il fallimento degli anni Ottanta. Nel 1985, infatti, Francia, Regno Unito, Spagna, Italia e Germania avevano quasi concluso le trattative per lo sviluppo di un caccia europeo; poco prima degli accordi definitivi però Parigi decise di non partecipare al consorzio, preferendo sviluppare il proprio caccia multiruolo, il Rafale appunto. Gli altri paesi, invece, mantennero gli accordi e svilupparono gli Eurofighter, i jet utilizzati attualmente dai rispettivi eserciti. I due caccia di ultima generazione sono quindi concorrenti, perché destinati non solo al mercato nazionale ma anche a quello internazionale.
Il nuovo caccia dovrebbe porre termine alla concorrenza, soprattutto perché pensato per coinvolgere gli altri partner europei. Claudia Major e Christian Mölling, analisti del German council of foreign relations, hanno scritto in un paper che una scelta del genere sarebbe molto importante per il futuro della cooperazione della difesa europea: “Parigi e Berlino hanno volutamente disegnato e inquadrato il progetto come un impegno esclusivamente europeo, perseguendo l’obiettivo di rendere l’Europa apripista di una nuova stagione. I due paesi intendono mandare un forte segnale a favore della cooperazione europea, al posto dei tradizionali approcci bilaterali”. Ciò comporta, per i ricercatori, l’esclusione del Regno Unito, che ha lasciato l’Europa proprio perché contrario a maggiore cooperazione. Il progetto ha però ancora dei punti poco chiari, e non solo perché richiede degli investimenti molto rilevanti – si parla di decine di miliardi di euro – e uno sviluppo piuttosto lungo, circa vent’anni. Romain Mielcarek, giornalista esperto di difesa e ricercatore all’università di Strasburgo, spiega al Foglio quali potrebbero essere le difficoltà: “Non è facile definire la condivisione degli obiettivi e dei benefici.
La scelta di chi costruisce cosa e dove non è banale: ogni paese e le rispettive industrie coinvolte possono essere tentate dal massimizzare i vantaggi di un accordo di cooperazione. Devono essere anche considerati i diversi approcci operativi: non a tutti gli eserciti serve lo stesso apparecchio”. Un caccia multiruolo europeo rappresenterebbe anche un mezzo per affrancarsi da Washington, soprattutto da parte tedesca: Berlino ha da poco avviato colloqui con il Pentagono per gli F35, i bombardieri di ultima generazione già acquistati dall’Italia, ma preferirebbe evitare di spendere i soldi dei contribuenti senza ricadute in termini di know how e posti di lavoro. Secondo Mielcarek è comprensibile che i paesi europei stiano ragionando su progetti comuni: “Decidere di produrre in proprio è senza dubbio più costoso, ma porta con sé un’autonomia strategica non indifferente”. Se poi il progetto, come sembra, verrà esteso ad altri paesi europei, “consentirebbe sia di realizzare delle economie di scala sia di rivendicare dei simboli politici”.
Dalle piazze ai palazzi