Kiev e Mosca vogliono scordarsi presto la "guerra calda" in Ucraina
L'inviato di Trump promette a Poroshenko nuove armi. Gli scontri continuano, ma in molti vorrebbero congelare il conflitto
Roma. Kurt Volker, l’inviato speciale degli Stati Uniti per i negoziati in Ucraina, è un falco atlantista messo dall’Amministrazione Trump in un posto al tempo stesso delicato e dimenticato. Ex ambasciatore americano presso la Nato, ex braccio destro del senatore John McCain, Volker è stato nominato all’inizio del mese dal segretario di stato Rex Tillerson come prova vivente della tostaggine dell’Amministrazione davanti alla Russia, e al suo arrivo a Kiev, negli scorsi giorni, ha rilasciato una serie di dichiarazioni che hanno riacceso un conflitto solo apparentemente sopito. Domenica, durante una visita sulla linea del fronte, Volker ha detto che quello nell’oriente ucraino tra Kiev e le due repubbliche separatiste filorusse, quella di Donetsk e quella di Lugansk, non è un “conflitto congelato” come molti vorrebbero pensare, ma una “guerra calda” a cui deve essere trovata una soluzione il prima possibile. Inoltre, parlando con i media, ha aggiunto che Washington sta considerando seriamente la possibilità di inviare “armi difensive letali” (vale a dire: armi che uccidono) all’esercito ucraino per combattere contro i separatisti e “difendersi nel caso in cui la Russia dovesse muoversi ancora contro il territorio ucraino”. Le armi a Kiev, ha detto Volker, non cambierebbero l’equilibrio militare ma potrebbero “spingere la Russia a fare di più” per i negoziati. Il Cremlino, ovviamente, ha gridato allo scandalo; Kiev ha ringraziato con circospezione.
Il fatto è che, benché quella nell’oriente ucraino sia davvero una guerra ancora calda (soltanto nell’ultima settimana, ha detto il ministero della Difesa ucraino, sono stati uccisi otto soldati e feriti dieci durante un attacco con mortai particolarmente duro), tutte le parti in gioco vorrebbero che si raffreddasse il più possibile, fino a congelarsi. Si prenda ad esempio la proclamazione da parte della repubblica di Donetsk del nuovo stato di Malorossiya, “piccola Russia”, che nelle intenzioni del capo separatista Alexander Zakharchenko dovrebbe sostituire l’intera Ucraina con un nuovo governo filo russo e una bandiera propria. Il presidente ucraino, Petro Poroshenko, ha subito inquadrato l’annuncio come parte del tentativo russo di dividere il paese, ma in realtà Mosca ha detto che non sapeva niente dell’iniziativa (“ne abbiamo saputo dalla stampa”, ha detto il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov) e le reazioni sono state più di fastidio che di entusiasmo. Perfino i colleghi separatisti di Lugansk hanno detto che loro con l’iniziativa di Zakharchenko non c’entrano nulla.
Secondo alcuni analisti, le autoproclamate repubbliche filorusse nell’oriente ucraino hanno perso gran parte del loro valore di asset strategico agli occhi di Mosca, e rischiano di trasformarsi in un peso. Gli “omini verdi” della Russia varcarono i confini dell’Ucraina nel 2014 per convincere Kiev a rinunciare ai rapporti con l’occidente e accettare l’egemonia di Mosca, ma ora che questo obiettivo è in gran parte venuto meno il presidente russo Putin si trova con due staterelli falliti da mantenere economicamente e militarmente, guidati da gruppi di ex guerriglieri poco affidabili, che spesso chiedono a Mosca armi in eccesso per rivendersele. Al tempo stesso, ha scritto l’analista Mark Galeotti sul sito Intellinews, Poroshenko è inflessibile sul riprendersi l’est ucraino, ma la situazione economica di Kiev, con le riforme che vanno a rilento e gli aiuti internazionali che arrivano troppo lentamente, fa sperare molti che il giorno della riconquista arrivi il più tardi possibile: non solo per i costi di un eventuale conflitto, ma anche per quelli della successiva stabilizzazione. Ad agire per porre fine allo status quo sembra rimanere solo il battagliero Volker.
Dalle piazze ai palazzi