La retromarche su Fincantieri
La legittima tutela di interessi militari e di competenze dietro la nazionalizzazione di Stx. Non è un grande ritorno allo stato padrone. È che Macron ci sa fare
Roma. “Abbiamo deciso di esercitare il nostro diritto di prelazione, assumeremo temporaneamente il 100 per cento delle quote di Saint-Nazaire ma il governo francese non ha vocazione a gestire il cantiere a lungo termine”. Così il ministro dell’Economia francese, Bruno Le Maire, in conferenza stampa. La parola “nazionalizzazione” non viene mai pronunciata, particolare che non è sfuggito ai giornalisti in sala: “Sì, le mie parole sono scelte con attenzione – ha spiegato il ministro – la nostra è una decisione di prelazione ed è temporanea. Traetene le conseguenze”. Come si spiega la decisione di Macron di prendere il controllo del cantiere? Vuole trasformarlo in un bacino completamente francese, come aveva chiesto il Front national o come aveva teorizzato l’ex ministro dell’economia socialista, Arnaud Montebourg, che si era posto come difensore del made in France? Tornare allo stato principale attore dell’economia à la Mitterrand? Evidentemente no. Esercitare la prelazione ha una logica precisa.
Non si tratta del nazionalista Macron che ha abbandonato la sua retorica liberale e europeista; i francesi hanno bisogno di più tempo per negoziare, mentre il termine per esercitare la prelazione sarebbe scaduto sabato: troppo presto. L’obiettivo finale è sempre e comunque cedere metà delle quote del cantiere, non tenerlo per sé. Per il momento, certo, Saint Nazaire diventa proprietà dello stato, ma le nazionalizzazioni care a Marine Le Pen e Jean Luc Mélenchon sono un’altra cosa e quelle sì, con il liberalismo non c’entrano nulla.
Ieri mattina il portavoce del governo, Christophe Castaner, ha spiegato che “in una trattativa con i partner internazionali è normale che lo stato alzi il tono per dimostrare di avere qualche arma. Il mondo dell’economia è un po’ come la politica, mica è il mondo dei sogni”. La decisione del ministero dell’Economia non è casuale, ma coerente con quanto dichiarato dal presidente due mesi fa, quando dall’Eliseo avevano espresso dubbi sulla convenienza dell’accordo e chiesto a Bercy di rinegoziarlo. L’esercizio del diritto di prelazione, in altre parole, serve alla Francia per ottenere un accordo migliore. E siccome le due vere parti non sono Fincantieri e Stx, ma chi ne detiene la golden share, ossia Italia e Francia, è lecito aspettarsi che gli stati utilizzino tutti i mezzi di pressione a loro disposizione per trarre il massimo vantaggio dalle trattative.
La decisione di Parigi poggia su una serie di ragioni. La prima è la salvaguardia dei posti di lavoro. Il cantiere di Saint Nazaire impiega più di 7.000 operai, e i francesi non vogliono che i loro posti siano a rischio. Il punto è che il cantiere ha commesse che gli consentono di operare fino al 2026, dopodiché Fincantieri, secondo l’accordo, si è impegnata a mantenere i livelli di impiego per altri cinque anni. Ma oltre questa data la Francia non ha garanzie: il timore è che Fincantieri, in caso di rarefazione degli ordini, dia la priorità alla costruzione delle navi negli altri suoi cantieri in Italia. Dopotutto, fanno notare i sindacati e le maestranze del cantiere, lo stato italiano detiene il 72 per cento delle quote.
Esiste inoltre una ragione strategica. Il cantiere di Saint Nazaire non produce solo navi civili, ma anche navi militari. Ed è il solo bacino francese in grado di costruire le navi militari di grande cabotaggio, come le portaerei (e la Francia ha una portaerei, la Charles de Gaulle, che dovrà essere presto sostituita). Le Maire su questo è stato molto chiaro: il cantiere di Saint Nazaire possiede un “savoir-faire” unico al mondo; non è possibile cederne il controllo assoluto a uno stato straniero. Inoltre il settore delle navi militari ha notevoli margini di crescita che interessano la DNCS, azienda francese controllata dallo stato leader nel settore della marina militare. I francesi non vogliono perdere la possibilità di sfruttare Saint Nazaire in tal senso. Pietro Romano, professore di organizzazione dei sistemi logistici e marketing industriale dell’università di Udine, ha spiegato al Foglio che una decisione del genere è dovuta probabilmente alla volontà francese di aumentare la cooperazione con la Germania: “Dal punto di vista della tecnologia civile Fincantieri non ha rivali in questo momento in Europa.
Ma Macron cerca rapporti privilegiati con i tedeschi, e quindi potrebbe puntare a un accordo con loro sul modello di quanto deciso per l’aeronautica, dove i due paesi si sono impegnati a costruire un caccia comune che sostituisca i Rafale e gli Eurofighter. Non mi stupirei che dietro alla richiesta, secondo me inaccettabile per Fincantieri, di azionariato paritario, ci sia la volontà di cercare un altro acquirente e aumentare la capacità di costruzione di navi militari.” Anche perché, secondo l’esperto, “il settore della marina è fondamentale per i futuri equilibri geostrategici. La capacità di costruire sottomarini ad alta tecnologia sarà sempre più importante e i leader del settore sono i tedeschi.”
Inoltre Parigi è preoccupata dai legami tra Fincantieri e la Cina. L’azienda italiana, grazie anche alla mediazione degli americani di Carnival Corporation, suo principale cliente, ha da poco concluso un accordo con i cinesi che ha autorizzato i cantieri di Shangai a costruire delle repliche delle crociere italiane a partire del 2022. Fincantieri sostiene che l’accordo non prevede il trasferimento del know how verso la Cina, ma i francesi non si fidano della capacità di resistenza alle pressioni di Pechino. E temono che il “savoir-faire unique” a loro caro possa finire in mano cinese.
Dalle piazze ai palazzi