Il premier pachistano Nawaz Sharif (foto LaPresse)

Panama Pakistan

Giulia Pompili

La Corte suprema di Islamabad fa dimettere il primo ministro Sharif. Tutto viene dai Papers

Roma. “Oggi ha vinto il Pakistan”, ha detto ieri Imran Khan, leader del principale partito d’opposizione, il Pakistan Tehreek-i-Insaf. E la notizia che commentava Khan è quella che il primo ministro Nawaz Sharif è stato interdetto dai pubblici uffici, grazie a una decisione della Corte suprema pachistana. Dopo questa sentenza, a cui i giudici sono arrivati all’unanimità, Sharif è stato ritenuto “non eleggibile come onesto membro del Parlamento”, ha detto poi uno dei togati, e lui stesso nella mattinata di ieri si è dimesso, negando però di nuovo ogni coinvolgimento con le accuse mosse dalla Corte – e però rispettando la sentenza. In pratica la carriera politica di Sharif, salvo sorprese (e in Pakistan spesso ce ne sono) sarebbe finita, ma sempre ieri alcuni esponenti del suo partito hanno fatto sapere di essere pronti a tornare a fare battaglia politica. Ieri Islamabad era in stato d’assedio, in attesa della sentenza, per controllare i manifestanti che assistevano al verdetto.

 

Tutta l’inchiesta che ha portato alle dimissioni di Sharif viene da alcuni leak pubblicati nei Panama Papers, quelli trafugati dalla Mossack Fonseca e diffusi nella primavera del 2016: oggetto dell’indagine erano le otto società off-shore intestate ai figli di Sharif, almeno tre delle quali non erano state dichiarate. Ma soprattutto, alcune di queste società erano state usate per l’acquisto di un appartamento a Park Lane, a Londra, e di vari altri immobili di lusso. Secondo l’opposizione, nella figura specifica di Imran Khan – che da quando ha preso la leadership del partito nel 2013 ha “ossessivamente”, scrive oggi il New York Times, cercato di mandare a giudizio Sharif – le quote delle società off-shore sarebbero in realtà la prova della corruzione dell’ex primo ministro. E infatti nel 2016 la Corte Suprema aveva aperto un’indagine sul primo ministro e sulla sua famiglia, per capire l’origine dei capitali e delle società, soprattutto quelle non dichiarate, a Panama.

 

Gli indagati erano stati protagonisti di un gustoso tentativo di giustificazione, che poi è il cuore della sentenza arrivata ieri. Una delle figlie di Sharif, Maryam Nawaz Sharif, tra le figure considerate eredi del capitale politico di Sharif, aveva dichiarato di essere non essere la beneficiaria degli indotti di una delle società off-shore, come invece indicavano i Papers. Aveva detto di essere soltanto nel consiglio d’amministrazione di quella società, e che il vero beneficiario era il fratello, l’altro figlio di Sharif. Alla richiesta di documenti da parte della Corte Suprema, a inchiesta aperta, Maryam aveva presentato una prova. La dichiarazione, datata febbraio 2006, era stata digitata con il font, il carattere Calibri. Peccato che il Calibri non è stato messo in commercio da Microsoft prima del 2007, un anno dopo. Un errore grossolano, che aveva portato all’idea che qualcuno avesse falsificato il documento. E infatti la Corte suprema l’ha dichiarato ieri “un falso”, una frode.

 

Sharif, 67 anni, combatte contro le accuse di corruzione sin dagli anni Novanta. Era tornato sulla scena politica pachistana nel 2007, ed era tornato a essere primo ministro nel 2013. Se fosse rimasto in carica ancora poco meno di un anno, sarebbe stato il primo a completare un mandato in Pakistan. Ora si apre la guerra per la sua successione, soprattutto quella ad interim, ma è chiaro, secondo molti osservatori, che dalla sentenza della Corte suprema i due principali vincitori sono l’esercito e Imran Khan. L’ex capitano della nazionale di cricket, 59 anni, è una specie di rockstar in Pakistan. Politicamente ha raggiunto risultati significativi soltanto nello stato del Punjab, ma potrebbe essere una delle figure di punta della campagna elettorale in vista delle prossime elezioni. Ieri ha detto di non avere nulla di personale contro Sharif, “conosco la sua famiglia da quarant’anni, ma ha fatto del male al popolo di questo paese e per questo volevamo che fosse ritenuto responsabile”. Uno degli scontri principali tra Khan e l’ormai ex primo ministro era poi sulla politica estera: Khan è un nazionalista, mentre Sharif si era avvicinato all’India di Narendra Modi, ultimamente, motivo per il quale anche l’esercito pachistano aveva qualche malmostosità nei confronti di Sharif. “Nella storia ci sono sempre stati due tipi di leggi prevalenti in questo paese”, ha detto ieri Khan, “uno per i deboli e poveri e l’altro per i ricchi e potenti. Oggi ho una domanda per la mia nazione: dobbiamo mandare in carcere i poveracci per riciclaggio oppure i criminali che vivono in case che valgono miliardi di rupie?”.

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.