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Realismo e gioco delle parti nelle schermaglie fra Putin e Trump

La reazione alle sanzioni non pregiudica la collaborazione. La notizia della fine della luna di miele è fortemente esagerata

Roma. La fine della luna di miele fra Donald Trump e Vladimir Putin è stata decretata con la stessa, frettolosa definitività con cui era stata proclamata lo scorso anno. Nelle ricostruzioni del giorno dopo, il taglio di 755 dipendenti della diplomazia americana sul suolo russo deciso dal Cremlino in risposta alle sanzioni votate al Congresso con schiacciante maggioranza ha repentinamente messo fine al “bromance” più solido della geopolitica globale. Trump e Putin sono passati da inossidabili alleati a nostalgici degli anni più tesi della Guerra fredda nel giro di un fine settimana. Ma come quella del grande abbraccio russo-americano, la notizia della rottura totale fra i due leader è fortemente esagerata. La decisione di Putin è seria, ma non è un macigno che blocca la strada dei rapporti. Mosca ha disposto una misura che era inevitabile dopo che la Camera ha passato le sanzioni con 419 voti favorevoli e tre contrari, e il Senato ha approvato 98 a 2, numeri che hanno legato le mani all’inquilino della Casa Bianca. La versione spiegata dal presidente russo al canale Rossiya 1 è passata attraverso interpretazioni di gravità decrescente prima di assestarsi: dapprima s’era diffusa la voce di una rottura dei rapporti, poi si è parlato della cacciata di oltre 700 diplomatici americani, infine s’è appurato che il personale cacciato è sia tecnico che diplomatico, e il conteggio porta in parità il personale russo sul suolo americano tagliato per decreto da Barack Obama lo scorso anno. Due compound americani in Russia sono stati sequestrati in risposta all’analogo congelamento deciso dal predecessore di Trump. La “retaliation” è in realtà una manovra che riequilibra le forze.

   

Come da protocollo, Putin ha definito la misura “biting”, dura, e il dipartimento di stato ha risposto definendola “ingiusta”, ma in realtà si tratta di una risposta blanda che soltanto per uno strategico attendismo del presidente russo è stata ritardata fino a oggi. Quando lo scorso anno Putin ha deciso di non rispondere alla cacciata dei diplomatici russi lo ha fatto dopo che il ministro degli Esteri, Sergei Lavrov, aveva già annunciato una risposta che è protocollare, automatica. L’editorialista Vladimir Frolov ha spiegato al New York Times che questa è “la meno dolorosa delle manovre che la Russia avrebbe potuto fare”, dal momento che si tratta di un decreto reversibile. Mosca ha anche calcolato con cura il tempismo dell’annuncio: Putin ha illustrato la risposta diplomatica dopo che il Congresso ha votato le sanzioni ma prima che il presidente le firmasse, in modo da sottolineare che la manovra era innanzitutto contro l’esecutivo, non contro Trump. Dal canto suo, il presidente che castiga senza pensieri chiunque su Twitter – il più bersagliato delle ultime settimane è il procuratore generale Jeff Sessions – ha accuratamente evitato di rispondere con una tirata anti Putin, una decisione curiosa se è vero, come titolano i grandi giornali, che siamo precipitati addirittura al di sotto di alcune delle fasi peggiori della Guerra fredda.

  

Com’è normale, tutti si sono concentrati sulle contromosse di Putin alle sanzioni, ma nella sua lunga intervista il presidente ha dato ampio spazio alle aree in cui la collaborazione fra i due paesi rimane solida e si è detto fermamente contrario a una ulteriore restrizione dei rapporti. “La questione principale – ha detto Putin – è che abbiamo una cooperazione con molte sfaccettature in vari ambiti. Ovviamente Mosca ha molto da dire, e ci sarebbero un numero di ambiti di collaborazione che potremmo tagliare, e sarebbe molto delicato per gli Stati Uniti. Ma penso che non dovremmo farlo. Metterebbe a rischio lo sviluppo delle relazioni internazionali. Spero non arriveremo mai a quel punto. Per come stanno le cose oggi, sono del tutto contrario”. Combinando una calcolata retorica della minaccia al gioco delle parti, Putin lascia intendere che la vendetta riporta le squadre in parità dopo lo schiacciante voto di un Congresso in guerra aperta contro la Casa Bianca. Il lavoro comune per la de-escalation del conflitto in Siria e i progetti petroliferi condivisi sono punti di contatto che non vengono intaccati dalla decisione del Cremlino. La collaborazione sulla cybersicurezza è uno dei punti in agenda che Putin cita sempre quando si tratta dei rapporti con Washington, anche se la sua credibilità sul tema è prossima allo zero.

  

L’atteggiamento di Washington sull’Ucraina è un altro dei banchi di prova fondamentali per la Russia, che dalle elezioni americane di novembre si è mossa con cautela per valutare l’atteggiamento della nuova amministrazione e agire di conseguenza. Putin ha assunto una postura attendista e non ha scoraggiato chi, per screditare il presidente americano, ha montato a dismisura la storia di uno sciagurato matrimonio nato con l’hackeraggio del comune nemico, Hillary Clinton, e consumato nel perseguimento di una comune agenda nazionalista e illiberale, corredata da molte foto ricordo in pose da strongmen. In realtà, il Cremlino ha mantenuto sempre una posizione realista nei confronti dell’amministrazione americana, esibendo reazioni proporzionate alle azioni di Trump (o del suo predecessore). L’ultima iniziativa putiniana non pregiudica la sostanza della collaborazione russo-americana e non mette fine a una luna di miele che non è mai davvero iniziata.

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