Donald Trump (foto LaPresse)

Il grande dettatore

Avvocato e spin doctor di se stesso, Trump detta personalmente i comunicati che rischiano di incastrarlo

Roma. Quando la Casa Bianca esce con una dichiarazione per difendersi da qualche accusa è naturale pensare che i testi siano vergati da un accorto team di avvocati e consiglieri dopo un’attenta valutazione delle conseguenze legali e politiche. L’assunto denota un certo, ingiustificato ottimismo. In realtà capita che sia Donald Trump in persona a dettare frettolosi comunicati facilmente smentibili che finiscono per peggiorare il problema che intendevano risolvere. Al peccato politico si aggiunge il tentativo palese di insabbiamento. Ieri il Washington Post ha ricostruito la genesi del comunicato con cui l’Amministrazione ha difeso Donald Jr. dopo l’uscita della notizia del famoso incontro con un’avvocatessa russa che, tramite un intermediario inglese, prometteva informazioni compromettenti su Hillary Clinton provenienti direttamente dal Cremlino. Trump era al G20 di Amburgo quando è uscita la notizia. Nella riunione convocata d’urgenza a margine dell’incontro, i consiglieri e il presidente hanno convenuto che la risposta della Casa Bianca dovesse dire la verità sull’incontro del primogenito durante la campagna elettorale. A bordo dell’Air Force One, Trump ha cambiato idea, e ha dettato una nota secondo cui il figlio e l’avvocatessa avevano discusso principalmente del “programma di adozione di bambini russi”. La questione è invero stata citata durante l’incontro, ma dagli scambi di email che lo stesso Donald Jr. ha poi pubblicato si capisce facilmente che non era quello il punto del summit alla Trump Tower. Le premesse e le promesse dell’incontro erano ben altre, e infatti ha preso parte al ritrovo anche un lobbista russo ben connesso con il Cremlino, e il rampollo, pregustando rivelazioni che non sono mai arrivate, aveva allertato anche Jared Kushner e Paul Manafort, allora manager della campagna.

 

Il procuratore speciale Robert Mueller sta indagando non soltanto sulla collusione fra gli uomini di Trump e il Cremlino durante la campagna, ma anche su eventuali tentativi di ostruzione alla giustizia nel corso delle indagini. Le comunicazioni false o fuorvianti per coprire malefatte, escogitate direttamente dal presidente, sono materiale perfetto per la commissione d’inchiesta di Mueller. Nel caso – delicatissimo – di Donald Jr. non ci sono soltanto le mail a mostrare l’inadeguatezza della versione della Casa Bianca, ma c’è anche la deposizione di Jared Kushner, undici pagine pubblicate prima di conferire a porte chiuse con i membri della commissione Intelligence del Senato.

 

L’aspetto rilevante dell’inchiesta del Washington Post è che descrive un metodo. Il grande dettatore non s’è fatto prendere la mano una volta soltanto, mosso da un paterno istinto di difesa, ma spesso scavalca e sostituisce i professionisti che lui stesso ha assunto per cautelarsi ed evitare scivoloni. I tre avvocati che il presidente ha assunto lavorano alacremente per tutelare il loro cliente, ma quando si arriva al dunque non toccano palla. Alcuni consiglieri hanno detto al quotidiano della capitale che “Trump sempre più spesso agisce come il suo stesso avvocato, stratega e pubblicista, e ignora le raccomandazioni dei professionisti che lui stesso ha assunto”. L’istinto del grande dettatore non racconta nulla di nuovo sulla personalità bulimica del presidente, ma se un tweet può sempre essere ricontestualizzato oppure rivenduto come esternazione di natura privata, la dettatura dei comunicati della Casa Bianca rappresenta la linea difensiva articolata dell’Amministrazione, non la reazione istintiva di un utilizzatore compulsivo di social network. La dettatura di una nota fuorviante per difendere Donald Jr. “non era necessaria”, ha commentato un consigliere: “Adesso qualcuno può accusarlo di aver tentato di insabbiare il caso. Qualcuno potrebbe sostenere che il presidente non vuole che si dica tutta la verità”. Il paradosso è che il grande dettatore è il migliore alleato dei suoi nemici: mente anche quando i suoi avvocati gli garantiscono che conviene dire la verità.