La retorica bellica di Haftar è figlia del sostegno di Russia e Francia
Analisti ci dicono che la promessa di colpire le nostre navi non è credibile, ma le alleanze legittimano la spavalderia del generale. La strategia anti Serraj
Roma. Ieri il generale libico Khalifa Haftar ha confermato la minaccia di bombardare le navi militari italiane che entreranno nelle acque territoriali libiche a seguito della richiesta di aiuto da parte del governo di Tripoli per contrastare l’attività dei trafficanti di esseri umani. “Haftar ha dato ordine al capo di stato maggiore della marina di impedire a qualsiasi nave straniera di entrare nelle acque territoriali libiche senza il suo permesso”, ha riferito il portavoce. Il governo italiano aveva ritenuto inattendibili e infondate le minacce del generale, così come molti analisti. Arturo Varvelli, analista dell’Ispi, spiega al Foglio che la minaccia è assolutamente “risibile dal punto di vista militare. Haftar dispone di solo 5 o 6 aerei, tra l’altro guidati da egiziani e emiratini. Non ha le capacità per portare a termine un attacco. Sarebbe stupido anche da un punto di vista politico: Haftar ha appena ottenuto un importante riconoscimento internazionale grazie al vertice di Parigi, non avrebbe senso attaccare militarmente un attore importante nel mediterraneo”. A cosa mira il generale? Perché ha deciso di elevare il livello dello scontro proprio con il nostro paese? Secondo Mattia Toaldo, del think tank londinese European Council on Foreign Relations “la minaccia di Haftar si spiega con i rapporti di forza interni alla Libia. E’ probabile che voglia orientare l’opinione pubblica italiana a suo favore, mostrandosi come l’uomo forte con cui bisogna trattare”.
“Dall’altro vuole indebolire Serraj – continua Toaldo – facendolo apparire come una marionetta nelle mani degli italiani. Anche perché il presidente di Tripoli aveva basato parte della sua legittimità sul rifiuto di chiedere aiuto alle potenze occidentali.” Anche Lia Quartapelle, capogruppo Pd alla commissione affari esteri, si mostra poco preoccupata: “Haftar non è nuovo a questo genere di dichiarazioni, recita la sua parte. Certo, non sottovalutiamo le minacce ai nostri militari, però ridimensionerei la portata di posizioni che suonano strumentali.”
Haftar si sente in grado di minacciare apertamente l’Italia anche perché consapevole di avere l’appoggio delle principali potenze attive nel conflitto. E’ alleato degli Emirati arabi, ai quali ha consentito di installare una base nella regione di al Khadim, riceve armamenti dall’Egitto e fa ufficiosamente parte dell’alleanza del Golfo guidata dall’Arabia saudita. Inoltre il vertice di Parigi lo ha accreditato come interlocutore fondamentale di fronte alla comunità internazionale, e ha goduto a lungo dell’appoggio logistico francese. A ciò si aggiungono gli stretti contatti con il Cremlino. Durante l’ultimo anno Mosca ha riconosciuto il ruolo di Haftar, invitandolo in una sua portaerei a una videoconferenza con il ministro della Difesa Sergej Šojgu e si è mostrata sempre più interessata a prendere parte attiva alla risoluzione del conflitto: “Dall’estate del 2016 in poi i russi hanno aumentato il supporto ad Haftar, sia dal punto di vista logistico che militare” dice Toaldo, “inoltre l’Egitto, principale alleato russo nella regione, è il più grande sponsor di Haftar. Buoni rapporti con il generale implicano buoni rapporti con l’Egitto, e viceversa.” Inoltre, spiega l’analista, la Libia è uno dei paesi storicamente nell’area di influenza sovietica, cardine della geopolitica di Putin: “La Libia non è strategicamente importante come la Siria o l’Egitto, ma resta un centro di grande interesse russo, in questo caso soprattutto per gli armamenti. Gran parte della armi utilizzate in Libia sono già russe, ma a Mosca sanno che se la situazione libica si stabilizzerà e si costituirà un esercito di unità nazionale, questo esercito andrà armato. La Siria è stata una vetrina formidabile per gli armamenti russi, la Libia potrebbe essere un mercato ideale per capitalizzare la pubblicità”.
Una reazione così dura da parte del generale è probabilmente dovuta anche all’importanza della decisione italiana di intervenire direttamente, un impegno che potrebbe essere risolutivo nella gestione dei flussi migratori. “Il nostro intervento potrebbe essere un game changer” dice Toaldo “ma potremmo aver forzato troppo la mano: se guardiamo gli sbarchi di luglio ci rendiamo conto che sono stabili se non diminuiti, forse avremmo potuto rivendicare questo risultato senza impegnarci direttamente con le navi. Un successo della missione potrebbe creare problemi a Serraj, perché difficilmente i trafficanti della costa, politicamente molto influenti, accetteranno di buon grado un ridimensionamento.”