Il quartier generale della European Medicines Agency (EMA) a Londra (foto via Facebook)

Perché la corsa europea all'Ema è una questione di merito

Marco Cecchini

Rispetto a Bratislava, Milano vanta tradizione scientifica, industria farmaceutica, collegamenti aerei e altre facilities. Per questo può farcela

Roma. Ci sono battaglie politico diplomatiche che misurano più di altre lo standing internazionale di un paese. La battaglia per aggiudicarsi la sede dell’Ema, in trasferimento da Londra causa Brexit, per la quale l’Italia ha candidato Milano, è una di quelle. Una sconfitta che sarebbe esiziale: dopo le vicende Fincantieri, Libia e Telecom andrebbe a ingrossare il partito del malumore. L’Agenzia europea del farmaco è un piccolo mostro di potenza scientifico-regolamentare. Autorizza l’immissione di nuove medicine su un mercato da 200 miliardi di euro, dove l’Italia è presente come secondo produttore in procinto di scalzare la Germania dal primo posto e come polo di ricerca di tutto rispetto. Occupa quasi mille dipendenti altamente qualificati e attrae migliaia di visitatori all’anno. Una macchina da guerra. Se dipendesse da Lancet, la prestigiosa rivista della comunità scientifica che qualche giorno fa ha fatto un chiaro endorsement tecnico per Milano a firma del suo direttore, Richard Horton, l’Italia avrebbe già battuto nella gara per la sede gli altri 22 concorrenti. Ma al tavolo del Consiglio europeo di novembre dove si deciderà a chi assegnare la palma del vincitore, Horton non ci sarà e il percorso da qui ad allora appare tutto in salita. Un codicillo del documento nel quale la Commissione ha fissato i requisiti che dovrà avere la città ospitante ricorda che nella scelta si dovrà tenere conto della necessità di dare priorità ai paesi Ue di nuova adesione in base a un accordo del 2003. E questo fa di Bratislava il candidato “politico” naturale, anche se non il solo, a ospitare l’Ema, poiché tra tutti i paesi di nuova adesione la Slovacchia è l’unico a non avere avuto nulla finora.

  

Secondo Marco Simoni, consigliere prima di Matteo Renzi e ora di Paolo Gentiloni sul dossier, “la questione Bratislava esiste e la battaglia sarà molto dura, ma penso che alla fine quando si dovrà decidere e si saranno esaminati i documenti di presentazione delle varie candidature ci si domanderà come si può dislocare un’agenzia di tale importanza in una città con poca o nessuna tradizione scientifica, poche o nessuna industria farmaceutica e che per i collegamenti aerei significativi e altre facilities si deve appoggiare a Vienna”. Wishful thinking? L’industria italiana vuole l’Ema a Milano. “Significherebbe rafforzare il settore a Piazza Affari, attirare fondi di investimento, e fare da catalizzatore di competenze anche nelle frontiere più avanzate della ricerca medica e biomedica”, dice al Foglio Riccardo Palmisano, ad di MolMed, società biotech quotata in Borsa. Ma la politicizzazione del caso non favorisce la posizione italiana. Renzi forse non ha tutti i torti quando dice che il governo è debole non per la personalità di chi lo guida ma per considerazioni oggettive legate alle scadenze elettorali e alle incertezze sul dopo voto. Per superare l’ostacolo Gentiloni dovrà giocare bene le sue carte nelle “trattative sottobanco” in queste settimane. Sarà importante non lasciarsi distrarre da questioni di politica interna. Una fonte vicina al dossier dice che “la partita è ancora aperta”. In particolare la Germania, ago della bilancia della scelta, non ha ancora deciso se schierarsi con Bratislava, cosa che le consentirebbe di ottenere l’appoggio del Gruppo di Visegrad (Slovacchia e altri paesi dell’est) per lo spostamento a Francoforte dell’Eba, l’agenzia di controllo sulle banche anch’essa in trasferimento da Londra. La Francia ha candidato Lille per l’Ema, ma senza troppa convinzione dato che Parigi punta a rafforzare i poteri dell’Esma, l’agenzia di controllo dei mercati con sede a Parigi. Molte candidature, vedi Atene, sono di bandiera. Nello scontro con Bratislava l’Italia potrebbe usare anche l’argomento dei migranti. Come premiare un paese che viola gli accordi europei sulle quote e agita argomenti pseudo razzisti? Ma forse, come sottolinea Simoni, il miglior alleato dell’Italia sarà la grande industria, non solo nazionale, ma europea la cui prosperità si fonda anche su una buona agenzia di regolazione. Bisogna vedere se basterà.

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